Pro: Un buon gioco di Heroic Fantasy molto adatto al solitario con la vocazione al monster game.
Contro: Meccanica e grafica datate e astrazione molto elevata. Ma nessuna di queste caratteristiche sono necessariamente difetti: la differenza tra “vintage” e “superato” è molto soggettiva.
Consigliato a: Il regolamento non è difficile da assimilare, le meccaniche si: risulta adatto a giocatori esperti/metodici che non vengono travolti da lanci e conteggi.
Realizzazione | |
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Prezzo |
Un gioco pubblicato nel 2014, il cui occhiello riporta “Gioco cooperativo di Heroic Fantasy”, sembrerebbe obbligato ad attenersi agli standard realizzativi a cui ci ha abituato il mercato: molti di voi, così, staranno già attendendo il nostro parere sulla grafica sontuosa, curata da prestigiose matite del mondo fantasy, o sulle splendide miniature, scolpite con grande maestria e dettagliate scrupolosamente.
La (bellissima!) scatola nero opaco dovrebbe aiutarvi a cancellare ogni stereotipo dalla vostra mente: niente draghi fumanti, muscolosi guerrieri, sciamane prosperose e maghi sfavillanti: Everything Icons! Utilizzare soltanto icone, chiare e funzionali, ma neppure troppo accattivanti graficamente è una scelta che l’autore dichiara essere una precisa volontà per cercare di stimolare la creatività e l’immaginazione dei giocatori.
Non si tratta quindi soltanto di un produzione fieramente e totalmente “indie” (abbiamo preso il riferimento ai “videogiochi indie” perchè non esistono pagini similari per i boardgame in italiano: il concetto è il medesimo), inevitabilmente lontana dai budget commerciali dei prodotti “blockbuster”: ci troviamo davanti a qualcosa di molto coraggioso e originale, che si propone in modo diverso – per certi aspetti “vintage” – rispetto alla più diretta concorrenza.
Detto in altro modo, per chi avesse giocato a Mage Knight, l’oggetto della modellazione è davvero molto simile, con elementi praticamente identici (l’uso del mana), eppure per certi aspetti i giochi sembrano lontani cugini, e non solo per una questione grafica, ma anche per le variabili messe in gioco e le meccaniche utilizzate.
Così il gioco finisce per evocare tempi remoti, ere lontane. I più attempati hard (very hard!) gamer avranno associato questo breve preambolo a uno dei giochi entrati nella leggenda dei boardgame: Magic Realm (Avalon Hill, 1979).
Seppure non si avvicini neppure lontanamente al tremendo livello di difficoltà (9/10) del molosso della casa di Baltimora, Shadows of Malice ha moltissimi punti di contatto con quello che veniva definito il “Terzo Reich Fantasy”.
Vediamo un confronto “a grana molto grossa” tra i tre giochi che abbiamo citato, ovvero Shadows of Malice, Mage Knight e Magic Realm.
La scala di gioco è la medesima per tutti e tre i prodotti ed è notoriamente molto difficile da modellare con efficacia. L’essenza dell’Heroic fantasy sta nel riporre nelle mani di pochi eroi le sorti di un intero mondo. Il dislivello di scala è evidente ed è difficilissimo da rendere in modo credibile: i tipici meccanismi di una mappa strategica (un intero mondo, con città, fiumi, montagne, ecc.) devono interagire con elementi squisitamente tattici (entro nell’antro, uccido il mostro e prendo il tesoro).
Le mappe dei tre giochi usano la medesima soluzione, anche se con realizzazioni molto diverse tra loro. Tutti e tre i giochi fanno uso di grandi esagoni geomorfi, che possono essere composti in diverse soluzioni. I 4 grandi tile di Shadows of Malice sono a loro volta suddivisi in diverse tipologie di terreno (monti, boschi, colline, paludi, etc.) e vie di comunicazione (sentieri, strade, imbarchi per le zone marine). La grafica ricorda più un wargame anni ‘70 (grafica sobria e rete sovraimpressa di esagoni di piccole dimensioni) che non le moderne soluzioni di Mage Knight.
I tre giochi, inoltre, possono essere giocati facilmente in solitario o da un numero elevato di giocatori. Shadows of Malice prevede fino a 8 giocatori in modalità full cooperative. In Magic Realm – in virtù di un regolamento molto più ricco – i giocatori potevano combattersi tra loro, mentre Mage Knight alterna scenari competitivi ad altri cooperativi.
I personaggi di Shadows of Malice e di Magic Realm sono gestiti da diversi gruppi di carte, che ne modellano le caratteristiche di base e gli oggetti e le magie che gestiscono il loro progressivo potenziamento; per finire, entrambi i giochi fanno uso di dadi e tabelle per generare gli incontri casuali. Mage knight si affida, invece, a un moderno meccanismo di deck building e delega il meccanismo di generazione degli incontri al chit pull: next generation!
Non vogliamo approfondire ulteriormente i punti di contatto tra questi 3 giochi. Questo lungo elenco di similitudini serviva soltanto a inquadrare Shadows of Malice: si tratta di un boardgame complesso, di scuola classica, dove la grafica è essenziale, ma non solo per motivi di budget. Questa è necessaria per gestire in modo efficace ed efficiente un gran numero di variabili, secchiate di dadi, modificatori e contromodificatori: quanto serve per creare complessi mondi fantasy mai uguali (anche se spesso simili) a se stessi.
La modellazione si basa sull’utilizzo di dadi a 6, 3 e 2 facce e anche di speciali dadi “testa o croce” (il cui risultato è 0 o 1). Cioè vengono utilizzati dadi a 6 facce declinati alla bisogna, per gestire contemporaneamente grandi quantità di fattori anche molto diversi tra loro.
Siamo pertanto in un ambito molto classico, a cui si adegua anche l’ambientazione che risulta altrettanto tradizionale: le forze del male si stanno riorganizzando e, se riusciranno a dare forma all’incarnazione stessa dal male, Xulthul, il reame verrà sopraffatto dalle ombre. Il suo nome,onomatopeicamente parlando, ricorda fin troppo da vicino Cthulhu, ma l’autore argomenta con dovizia di particolari che si tratta di una coincidenza casuale e del tutto involontaria.
È un gioco che può diventare molto lungo (1 ora + 1 ora per ogni esagono della mappa che i giocatori inseriscono in fase di setup, fino a un massimo di 5 ore di gioco), quindi l’ambientazione fa tutto il possibile per mantenere sempre in gioco i partecipanti. Ogni giocatore, infatti, interpreta uno spirito del bene che, per combattere il male, necessita d’incarnarsi in un essere umano.
Così, nei frequenti casi di prematura dipartita, i giocatori non fanno altro che assumere nuove sembianze (avatar, in termini di gioco), perdere qualche oggetto o caratteristica, ed eccoli pronti a riprendere la pugna!
Chiudere il cerchio dell’ambientazione è piuttosto semplice: per vincere, Xulthul deve riuscire ad acquisire forma materiale in uno dei pozzi della luce che gli avatar benefici non hanno ancora svelato.
Gli obiettivi strategici sono, quindi, le fortezze in cui sono custoditi i pozzi della luce e dell’oscurità. In ogni esagono sono presenti 3 pozzi (1 della luce e 2 dell’oscurità) che, man mano che vengono svelati, irradiano il reame con la loro forza magica, favorendo questa o quella fazione.
Per vincere è necessario che gli avatar benefici trovino i pozzi della luce oppure, qualora Xulthul si fosse già rivelato, diventa obbligatorio ucciderlo.
Come abbiamo già accennato, i giocatori decidono la durata (e anche la complessità) della partita, affiancando all’esagono del reame dell’oscurità (un luogo un po’ fisico e un po’ metafisico, a cui i giocatori non possono accedere) da 1 a 4 esagoni “reame”.
Ogni esagono di regno contiene gli stessi elementi, ovvero:
- 1 cancello dimensionale;
- 3 fortezze con altrettanti pozzi (che però vengono mescolati tutti assieme: esempio: 12 pozzi vengono mescolati tutti assieme e posizionati casualmente sulle 4 mappe che i giocatori hanno deciso di utilizzare);
- 2 luoghi amici (1 città e 1 mistico);
- 6 covi di creature (che, ovviamente, nascondono grandi tesori).
La particolarità di questo regno è che, a pieno regime (con tutti e 5 gli esagoni), il territorio fisico NON è unito, ma distinto in 2 separate coppie di grandi esagoni. L’autore ha assicurato che sta pensando a un’espansione in cui verranno aggiunti i 2 esagoni necessari per creare un reame senza soluzione di continuità, ma – con la sola scatola base – gli unici mezzi di comunicazione tra una parte e l’altra sono i cancelli dimensionali che rappresentano anche l’unico modo con cui l’ombra e Xulthul possono fare il loro non gradito ingresso nel regno.
Salvo alcune abilità particolari, gli avatar non riescono sempre a determinare il cancello dimensionale da cui usciranno. I giocatori più sofisticati avranno il sentore del “se non hai l’abilità giusta, tira un dado e perdi un turno”: icone o miniature, grafica mozzafiato o disegno essenziale poco importa, in questo genere di giochi a fare la differenza è sempre la capacità d’immedesimarsi nei personaggi.
Una volta deciso quanti esagoni utilizzare, è necessario piazzare tutte le pedine degli elementi appena descritti rigorosamente a faccia in giù, per preservare il fascino dell’esplorazione. È ora il turno dei personaggi: ogni avatar viene assemblato con un’abilità speciale, 5 punti ferita, 3 cristalli di mana + altri 3 del colore dell’abilità scelta.
Le abilità speciali sono, infatti, classificate in 5 diverse tipologie (combattimento, cura, ecc.) e ognuna di esse può avere 2 separati effetti, che vengono attivati se viene speso un cristallo di mana del colore generico, oppure del colore corrispondente.
Altra particolarità del gioco sono le pedine che rappresentano i punti ferita. Il retro della pedina è diviso in 2 parti: in base a come la pedina viene girata, essa indica una normale ferita oppure un drenaggio di linfa vitale molto più difficile da curare. La soluzione della suddivisione in “alto” e “basso” su un solo lato può causare qualche disagio ai giocatori più disordinati.
Potrete facilitare lo startup aggiungendo un oggetto o una pozione al vostro equipaggiamento iniziale: Nelle prime partite, questa regola opzionale diventa un vero e proprio “must” per moltissimi giocatori, perché bisogna entrare nei meccanismi e capire cosa si può fare e cosa è meglio evitare.
Eccoci dunque pronti a salvare il mondo. La strategia dei giocatori, partita dopo partita, sarà sempre uguale a se stessa, ricalcando a grandi linee quella che da mezzo secolo appassiona i giocatori di ruolo “carta e penna”:
- cercare supporto ed equipaggiamento, svelando le caratteristiche delle città e i poteri dei mistici, che – oltre a curarci – potranno trasformare il nostro mana in preziosissime e potenti pozioni magiche monouso;
- affrontare mostri incontrati lungo il cammino, per recuperare o guadagnare ulteriore mana;
- visitare le tane dei mostri, uccidere gli inquilini e recuperare i tesori (armi, equipaggiamento, antiche pergamene, ecc.);
- visitare le fortezze e, dopo aver sconfitto l’immancabile mostro, scoprire i pozzi di energia, sperando di svelare quelli della luce.
Il gioco prevede un dettagliato set di regole per le squadre, ovvero quando i giocatori decidono di agire uniti in gruppo. In linea di massima, la regola è che più grande è il gruppo, più questo è forte in combattimento ma lento negli spostamenti.
I mostri, invece, agiscono sempre da soli, così i gruppi di giocatori che affrontano in squadra i propri letali nemici hanno il grande vantaggio di suddividersi le ferite che questi possono arrecare loro.
Se associamo questo aspetto alla semplicità della struttura degli avatar (niente skill, caratteristiche di base, armature, ecc.) è innegabile che il titolo abbia una grande vocazione per il gioco in solitario.
La gestione dei mostri, per certi versi, dà il nome al gioco: il risveglio del male provoca strane mutazioni genetiche sugli esseri viventi; volatili, mammiferi e pesci, ma anche arbusti e minerali possono prendere vita o forme minacciose, con una randomicità disarmante.
Ogni volta che un giocatore sceglie d’incontrare un mostro, deve lanciare 3 dadi e applicare qualche modificatore qua e là (nelle fortezze sono più forti che nelle tane, che a loro volta generano mostri più difficili da combattere di quelli che si incontrano lungo la via). Sia le ombre – le potenti identità intermedie – sia Xulthul in persona si manifestano allo stesso modo: sono semplicemente (molto) più forti dei mostri tradizionali…
I tre dadi indicano rispettivamente:
il tipo di mostro (mammifero, uccello, minerale, ecc.) che viene determinato in base al tipo di esagono in cui si trova il giocatore;
la forza del mostro (potere, punti ferita, capacità di attacco e di difesa);
il numero di poteri speciali del mostro, ognuno dei quali è poi determinato da una carta, pescata casualmente da un apposito mazzo.
Le ombre della malizia hanno, quindi, effetti eterogenei per quanto immateriali: ci vuole una grande immaginazione per lanciare 3 dadi e sentirsi immersi in una lotta contro un albero malvagio, che ci percuote duramente con i suoi rami ed è immune agli attacchi di acido, anche perché al turno successivo potremo incontrare un mammifero il cui attacco con palle di fuoco risulta quasi innocuo, e quello dopo ancora un uccello dalle dimensioni incredibili, che attacca 2 volte.
Legare lo storyboard del gioco ad uno motore di generazione dei mostri totalmente random è qualcosa di molto forte ed originale. Non vi è dubbio che stimola i giocatori ad immegersi nella storia immaginando le strane creature sempre diverse che si incontrano strada facendo e strapppando loro qualche sorriso dovuti ai risultati più paradossali. Questa scelta però slega il gioco dai sistemi di crescita parallela dei personaggi e dei mostri incontrati che rappresenta uno dei postulati del gioco di ruolo. Il risultato è una game experience che strizza gli occhi ai giocatori più casual.
La meccanica di combattimento richiede invece, per alcuni aspetti, l’esperienza dei giocatori un poco più esperti.
Salvo precipitose fughe da una parte o dall’altra, i combattimenti richiedono sempre più di un round per determinare il vincitore. Il numero dei dadi lanciati per ogni round di combattimento è imponente: un tiro per ogni avatar coinvolto, un altro per il mostro, nonché una discreta quantità di lanci accessori per l’equipaggiamento e le abilità speciali.
Il gioco fornisce un’ampissima quantità di dadi in 2 colori e 2 dimensioni, molti utili per raggruppare lanci omogenei, ma quello che non può fornire sono le abilità per utilizzarli al meglio. È indubbio che, con un minimo di manualità, esperienza e organizzazione, i tempi si accorciano parecchio, ma i giocatori meno esperti faranno fatica a districarsi tra somme e interpretazioni dei risultati.
Non ci resta che analizzare il comportamento dei nostri nemici. Le ombre vengono generate al centro della mappa. Ancora una volta, una serie di lanci di dadi a 6 facce ne stabilisce la nascita, la crescita e il rilascio all’interno del reame. Il sistema è indubbiamente efficace da un punto di vista della meccanica, anche se risulta estremamente semplice. Più tempo un’ombra passa nel proprio regno, più tempo avranno i giocatori per crescere e progredire, ma al contempo l’entità maligna recupererà un numero sempre maggiore di punti vita e, quindi, risulterà più difficile da sconfiggere: il modello statistico matematico che sta alle spalle del meccanismo risulta abbastanza imprevedibile e molto equilibrato, anche se – ancora una volta – fortemente astratto.
Una volta raggiunto il reame, l’ombra si muoverà il più velocemente possibile verso il più vicino pozzo inesplorato, finché non verrà sconfitta dai giocatori oppure scoprirà un pozzo della luce. In questo caso, l’ombra si trasformerà in Xulthul, dando inizio di fatto alla battaglia finale.
Bottom Line
Shadows of Malice è un campione delle produzioni “indie”, perché ne incarna tutti i pregi e i difetti. Solo in questo modo, infatti, è possibile far arrivare sulle tavole dei giocatori prodotti di questo tipo a prezzi contenuti. Si tratta, però, di un gioco nato da un entusiasta ed è dedicato agli entusiasti.
Serve un amore spassionato per l’heroic fantasy per dare forma a tutto ciò che dadi e tabelle generano: l’astrazione dei nostri nemici di ogni ordine e grado è sempre altissima!
È un gioco essenzialmente difficile: non tanto per la quantità di regole, ma perché è necessario possedere un livello di “assuefazione” alle sue meccaniche tale per cui le fasi di combattimento vengono naturali. Cioè bisogna saper scegliere i giusti dadi, lanciarli e contare velocemente i risultati: servono un po’ di buona volontà, tanta pratica e un pizzico di metodicità; una lista d’ingredienti non sempre nelle corde dei giocatori più “casual”.
Se riuscirete a far diventare i continui lanci di dadi e relativi calcoli attività di routine che non vi seccano, il monster game è servito! Il feeling vintage di grafica e pedine ricorda i bei tempi andati ai giocatori più attempati e un approccio alternativo per le nuove generazioni, più economico e con potenzialità diverse rispetto ai moderni standard.
Il gioco ha una grande vocazione per il solitario e il legame con il gioco di ruolo lo renderà unico nel suo genere: entra nella grotta, tira i dadi, uccidi il mostro, prendi il tesoro… What else?
Si ringrazia Jim Felli che ha dato il suo personale contributo a questa nostra recensione con lo stesso incredibile entusiasmo con cui ha ideato, disegnato e prodotto Shadows of Malice.
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