Pro: Semplice da imparare, difficile da giocare bene. Durata limitata e strategie complesse. Popoli ben diversificati e ben equilibrati. Buona versione in solitario.
Contro: Cinque turni sono davvero pochi: se la fortuna non gira subito come deve, non c’è tempo per recuperare. La tipica interazione dei “multiplayer” può essere anche incisiva, ma non sempre coerente.
Consigliato a: Il gioco piace sorprendentemente un po’ a tutti: può essere un ottimo introduttivo ai Civ Game, ma è apprezzato anche da tavoli “senior”; eppure i difettucci non mancano (e qualcuno non perderà l’occasione di sottolinearli)!
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Coloni Imperiali, del quotato Ignacy Trzewiczek, si autoproclama “un gioco di carte di civilizzazione”. Un tema in cui certo non manca la compagnia: Trough the Ages e Nations, giusto per citare quelli da noi recensiti in passato, rappresentano dei veri e propri benchmark, con tanto di spinoff e sequel.

L’ambientazione è diversa (post apocalittica), differenti anche le fazioni e qualche “cavillo” nel regolamento, ma il motore è lo stesso…
“Le note musicali sono sempre e soltanto sette, eppure ci hanno regalato secoli di straordinaria creatività” e Coloni Imperiali dimostra quanto questa frase risulti autentica anche nel mondo ludico, perché ha riscosso un notevole successo e si è ritagliato un posto importante nell’affollata schiera dei giochi che modellano lo sviluppo della civiltà. Le “solite sette note” sono state mixate con sapienza in quello che è il diretto discendente di 51st State (che verrà riproposto nel 2016 con una veste grafica completamente rinnovata e materiali decisamente più lussuosi) e che ha il grande merito di essere “orecchiabile” -pardon- abbordabile anche dal grande pubblico.
Unboxing
Letta la premessa, un giocatore esperto potrebbe prevedere senza grosse difficoltà e con buona approssimazione il contenuto della confezione.
Ci sono tre tipi di materie prime: “legna”, “cibo” e “pietra”. Il gioco prevede, però, anche la produzione di “popolazione”, “oro”, “forza di attacco” e “difensiva”. La diversificazione delle risorse in ben 7 elementi differenti è la miglior dimostrazione di come il gioco sia semplice da imparare, ma tutt’altro che banale nel gameplay.
Le 3 materie prime e la popolazione sono rappresentate da piccole forme di legno colorate, mentre le altre risorse sono realizzate con pedine di cartone: una promiscuità di materiali non usuale, ma tutto sommato efficiente.
Ci sono, poi, cinque mazzi di carte, di cui uno cosiddetto “comune” e altri quattro che rappresentano le peculiarità dei differenti popoli (denominati in seguito “mazzi razza”). Le 4 civiltà risultano ben differenziate e, tutto sommato, ben bilanciate. Giapponesi a parte, nessun’altra razza necessita di un capitolo di regolamento dedicato: per modellare le peculiarità bastano alcune regoline “in card” e un pugno di token dedicati.
L’ultimo piccolo mazzo di 16 carte serve per il gioco in solitario, una variante ben congegnata e solo leggermente diversa dalla versione multiplayer.
Il range va, quindi, da uno a quattro giocatori. Presto scopriremo che ha una grande scalabilità, anche se è piuttosto acceso il dibattito tra chi lo preferisce a 4 giocatori (tutte le razze sul tavolo, massima interazione, alleanze per colpire il più forte) e chi, come noi, preferisce giocarlo “faccia a faccia” (minimizzazione dei tempi morti, contenimento della durata, semplificazione delle interazioni), dedicando le prime partite alle 2 razze più semplici da giocare: Barbari ed Egizi.
I Romani devono fare uso della forza bruta e i Giapponesi, con il loro set di regole peculiari, risultano un po’ più impegnativi.
A prescindere dal mazzo di appartenenza (“Comuni” o di “Razza”), le carte possono essere di tre tipi:
“Carte produzione”: permettono di acquisire nuove risorse durante ogni turno; sono, quindi, la base del meccanismo a crescita esponenziale. A differenza di gran parte di altri giochi, con carte del tutto simili, queste hanno la caratteristica di produrre risorse appena acquisite: non è, quindi, necessario attendere la fase di produzione del turno successivo. Ecco il primo indizio che mette in risalto la tendenza delle risorse ad “autorigenerarsi” dopo essere state spese.
“Azioni”: queste carte garantiscono al giocatore che le mette in gioco la possibilità di effettuare azioni speciali particolarmente vantaggiose. Salvo comunicazioni “on card”, potranno essere attivate soltanto una volta per turno.
“Speciali”: in qualche caso sono classiche “combo”, in altri bonus generici. Portano benefici alla crescita esponenziale e hanno il grande merito di non innescare eccezioni regolamentari.
A parte qualche dettaglio, anche la struttura delle carte è similare in entrambe le tipologie di mazzi.
In alto a sinistra troviamo il costo di acquisto: per poter portare una carta dalla propria mano alla propria plancia di gioco, sono necessarie 2 o 3 materie prime, generalmente pietra e legno (le carte sono infatti chiamate “edifici”).
Molte delle carte “razza” per essere costruite richiedono l’eliminazione di una carta già giocata in precedenza. Considerato che gran parte delle carte “razza” sono più “forti” di quelle “comuni”, possiamo dire che questa regola modella l’innovazione e il progredire della civiltà: i vecchi edifici vengono sostituiti da nuovi più efficienti. In realtà, questa regola nasconde un intelligente meccanismo di compensazione per i giocatori “sotto attacco”, che potranno riutilizzare gli edifici razziati come risorsa per la costruzione di edifici più performanti. Le alleanze multiplayer danneggiano il giocatore “bersaglio”, ma non rischiano mai di eliminarlo dal gioco.
Le carte “comuni” (e quelle della civiltà Giapponese) portano in alto a destra il valore di saccheggio, cioè cosa si ottiene quando si distrugge l’edificio raffigurato sulla carta. Le risorse ottenute dal razziatore e il “risarcimento” per il giocatore che subisce la razzia generalmente eguagliano o addirittura superano i costi di costruzione.
La grafica delle carte – volutamente – ricalca quella dei videogiochi cosiddetti “real time strategy”: seppure in chiave sempre scherzosa e ironica (oseremmo dire perfino “paciosa”), ogni carta è riempita da un buon numero di “personaggetti” sempre indaffarati in un contesto colorato e gradevole. Chi scava nella cava, chi fa la guardia al Re, chi è operoso tra le vie del mercato, ecc.

Se non fosse per le dimensioni del manuale, la scatola risulterebbe per circa il 50% inutilizzata. Balena Ludens aderisce alla campagna di sensibilizzazione degli editori per il contenimento delle misure delle scatole, spesso “oversize” per meri motivi di marketing (“Scatola grande, gioco grande, prezzo adeguato”). Purtroppo gli scaffali dei giocatori non sono illimitati!
Un ottimo lavoro grafico che, però, non trova la giusta armonizzazione con l’ergonomia.
Subito sotto la bella immagine troviamo l’abilità speciale della carta che si estrinseca in una delle tre tipologie descritte in precedenza. Il testo è scritto con caratteri davvero piccoli: considerato che i giocatori più esperti vogliono/devono guardare spesso le carte degli avversari dall’altra parte del tavolo, diventa molto comune la frase: “Scusa, mi dici per cortesia cosa fa quella tua carta?”.
Secondo un tipico concetto molto moderno, le carte razza sono multifunzione: pagando un cibo, possono essere trasformate in “contratti”, invece che essere costruite come edifici.

Carte “Razza” utilizzate come contratti. Queste si sommano alla produzione di base della razza (visibile poco più in basso).
Nella parte inferiore di qualsiasi carta “razza” troviamo la risorsa oggetto del contratto. Questa verrà aggiunta alla produzione della razza e inizierà a fornire risorse con effetto immediato. Ecco un’altra occasione in cui il turno del giocatore risulta “autorigenerante”: sacrifico due risorse (carta e cibo) e ne ottengo immediatamente una indietro!
Piccole icone ci ricordano, inoltre, che a fine partita ogni carta costruita e non distrutta otterrà 1 (carte “comuni”) o 2 (carte “razza”) punti vittoria.
Oltre alle 30 carte civiltà, ogni razza è caratterizzata da una sorta di mini-plancia (vedi foto), dove troviamo un’abilità speciale caratteristica e una produzione diversificata. A prescindere dalle peculiarità, servirà a dare un ordine alle carte messe in gioco.
Il regolamento si segnala per l’ottima legenda in appendice, in cui vengono descritte le carte più complesse. In questo modo, sono ridotti quasi a zero i tipici dubbi interpretativi che spesso sorgono in questo genere di giochi.

La possibilità di convertire 2 segnalini di popolazione in altre risorse (no attacco e difesa!) è comune a tutti i popoli.
Completa la dotazione del gioco un tabellone segnapunti e segnaturni, dove all’occhio più esperto non sfuggirà la durata della partita, fissata in soli cinque turni.
Il gioco
Condensare centinaia di anni di evoluzione in un numero così limitato di “segmenti logici” è possibile soltanto se ognuno di questi prevede una sequenza di round (sottosegmenti) lunga e complessa.
Eppure l’inizio di ogni turno – il setup, di fatto, non esiste – non farebbe certo presagire un turno complesso e ricco di round (sottosegmenti).
Durante la prima fase di ciascun turno, il giocatore pesca una carta dal mazzo della propria razza. Dopodiché i giocatori sono chiamati a scegliere due carte, condividendole da un pool comune (per esempio, con quattro civiltà/giocatori, verranno rese disponibili cinque carte). In ordine di turno, tutti scelgono una carta, poi si ripete l’estrazione di altre cinque carte, ma stavolta si scelgono procedendo in senso inverso.
Alla fine di questa fase, tutti i giocatori avranno in mano 3 carte: due comuni e una dal mazzo “razza”. Un numero che parrebbe inadeguato per gestire un turno complicato, ma l’apposita regola che prevede che i giocatori possano portare qualsiasi numero di carte da un turno all’altro lascia presagire che questo “è solo l’inizio”.

I giapponesi a metà partita (a circa metà del terzo turno): a sinistra, le carte “razza”; a destra, le carte “Comuni”; in alto la produzione; al centro le carte Bonus; in basso le azioni speciali.
Si rende, quindi, necessario produrre le 7 risorse.
Turno dopo turno, i giocatori disporranno di una maggiore quantità di risorse provenienti da altre fonti, ma all’avvio è sufficiente raccogliere quelle indicate sulla scheda della propria razza. Così, fin dai primi istanti della partita, alcuni popoli iniziano a specializzarsi nella raccolta delle risorse a loro peculiari:
- Egizi = oro;
- Barbari = popolazione;
- Romani = forza attacco;
- Giapponesi= cibo.
L’utilizzo delle risorse è piuttosto flessibile: i giocatori hanno sempre la possibilità di cambiare 2 “popolazione” per una qualsiasi materia prima (o anche per una nuova carta), mentre l’oro tipicamente può essere utilizzato come un vero e proprio “jolly”. Insomma, non è un gioco per chi adora la microgestione incallita: le “risorse giuste nel posto giusto” servono fino a un certo punto. Per vincere, bisogna accumulare carte e risorse in gran quantità, ma bisogna anche pensare a come impiegarle o convertirle.
Come nella favola di Pollicino, abbiamo finora disseminato questa recensione di briciole/indizi per farvi intuire la via principale del gioco: durante ciascuno dei 5 turni, i giocatori potranno recuperare molte risorse e carte, innescando una cosiddetta “onda lunga” che può portare davvero molto lontano da dov’era iniziato il turno.

La carta edificio di tipo comune sulla destra garantisce a ogni turno una preziosa carta in più. Se razziata dai giocatori avversari, ne garantisce 2 con effetto immediato. Un bocconcino molto prelibato e, per questo, il giocatore ha speso sopra di essa un token di difesa che – per sua sfortuna – durerà solo fino a fine turno, dopodiché verrà scartato…
Un altro elemento caratteristico del gioco è che le risorse NON possono essere trasportate da un turno all’altro. Salvo l’abilità speciale di razza e quelle acquisite tramite la costruzione di edifici, tutte le risorse rimaste devono essere scartate. Si inizia il turno con poco (soprattutto nei primi turni), poi le risorse tendono ad autoriprodursi, ma alla fine devono essere scartate: ci aspetta una sfida originale e intrigante!
I giocatori avranno pane per i loro denti, per imparare a controllare il loro “surf” (o… popolo, che dir si voglia) sopra queste onde poderose: davvero un buon risultato, per una meccanica di gioco che si impara in 10 minuti e si spiega con semplicità anche ai neofiti.
Gran parte delle tipologie delle azioni a disposizione sono semplici e lineari (e in gran parte già descritte):
- convertire popolazione in risorse e carte;
- costruire nuovi edifici, attingendo carte dalla propria mano e pagando quanto necessario;
- utilizzare azioni speciali, come descritte sui propri edifici in gioco.
L’azione più strutturata è la “razzia”, che può essere fatta sugli edifici avversari in gioco e sulle carte della propria mano che lo permettono. L’utilizzo delle risorse è, quindi, una delle cose più originali e meglio riuscite del gioco.

I giocatori pongono le risorse spese per attivare un’azione speciale sopra la carta stessa. In questo modo, è facile ricordarsi se per quel turno l’azione è già stata utilizzata.
Le razzie vanno fatte spendendo risorse “attacco”. Ogni carta avversaria in gioco ha un valore intrinseco di “difesa” pari a 1, che può essere aumentato spendendo sopra di essa ulteriori pedine “difesa”: per avere successo, bisogna superare la difesa di un punto (perciò servono minimo 2 punti attacco). Le carte nella propria mano hanno valore di difesa zero: considerato che anche i popoli meno avvezzi alla guerra producono in ogni turno una pedina attacco, ecco un buon modo per recuperare risorse senza spenderne quasi nessuna!
I giocatori si alternano in questi micro round. In qualsiasi momento, un giocatore può decidere di passare e, da quel momento in poi, egli sarà semplicemente ignorato dal gioco fino al turno successivo. Non potrà più fare altre azioni, né essere soggetto a razzie avversarie. Da un punto di vista del gameplay, rappresenta un’opzione tattica importante, che talvolta genera colpi di scena inaspettati, ma presta il fianco a una delle principali debolezze del gioco: se si esce dal turno molto prima degli avversari, si può essere costretti a lunghe attese.
Un punto controverso e dibattuto su molti forum è la qualità dell’interazione dei giocatori. In pochi sostengono di riuscire a gestire una fattiva strategia di contrasto al “Runaway Leader” e non solo perché egli può utilizzare gli edifici distrutti dai nostri attacchi come “risorsa” idonea a costruire nuove carte “razza”: spesso risulta conveniente utilizzare le nostre pedine attacco per razzie che garantiscono utili bottini per la nostra crescita, aggredendo un “incolpevole” avversario piuttosto che un avversario specifico.
La struttura del gioco permette una pianificazione totalmente predicibile, almeno finché non si decide di prendere una nuova carta. A questo punto, potremo scegliere se pescarla dal mazzo delle carte “comuni” o da quelle di “razza”, ma la reale utilità della carta pescata sarà decisa soltanto dalla sorte.
Se non amate la statistica e/o gli approfondimenti troppo matematici saltate questo paragrafetto. In soli 5 turni, la curva di crescita esponenziale è ripidissima: si inizia con pochissimo e si termina con tantissimo. Nei primi 2 turni, un giocatore molto bravo e fortunato riesce a pescare non più di 3 o 4 carte razza (circa il 15% del totale: un’incidenza piuttosto esigua). Le carte produzione più forti (nettamente più forti…) sono tra le carte razza: pescarle nei primi 2 turni spesso fa la differenza. Poter produrre “forte” e “subito” può creare un divario importante, che la crescita esponenziale tende ad amplificare nei turni successivi.
Bottom line
Le nostre critiche devono essere intese come quelle dell’innamorato che cerca nel proprio partner la perfezione. I cinque turni scorrono davvero in modo piacevole, tra gli alti cavalloni di un mare in burrasca (la crescita esponenziale), come mai visto in precedenza. Nonostante la dea bendata faccia sentire il suo peso, per parecchie partite i giocatori più esperti scopriranno sempre nuove strategie e nuove tattiche da perseguire: “easy to learn, hard to master” è una frase ormai inflazionata, ma davvero in questo gioco trova un senso molto concreto. Per questa ragione, però, gli agili primi turni diventano via via più lenti e macchinosi, facendo emergere nel finale di partita sporadici casi di paralisi da analisi.

Grafica gradevole, colorata e divertente! In alto, al posto del “contratto”, troviamo una regola introdotta dall’espansione: come tutti i giochi di carte è modulabile e facilmente espandibile. Insomma, se vi piace il gioco, preparate il portafogli!
Nonostante la palese carenza di originalità nel tema trattato, il gioco merita appieno la buona fama di cui gode: per le sue peculiarità non è adatto a tutti, ma è pur vero che non ha un vero pubblico di riferimento, perché può piacere sia agli esperti che ai neofiti.
Il fatto che venga offerta una variante facoltativa ufficiale, che “sterilizza” completamente l’interazione, è la miglior dimostrazione che questo non è un gioco di combattimento ed è molto – ma veramente molto – parzialmente un gioco di alleanze e diplomazia. Questo non è necessariamente un difetto: sono tanti gli appassionati che amano concentrarsi sulla crescita del proprio “orticello”.
Guardando con attenzione il gioco, si nota come non solo la grafica strizzi l’occhio ai videogames: Coloni imperiali ha proprio il sapore dei sistemi gestionali tipici di alcuni grandi videogames, come Simcity o Civilization. Poco importa se si parla di un click di mouse oppure di un micro-turno: l’importante è evolversi, sempre e comunque!
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