Pro: Grafica superlativa, ambientazione in stile “fumetto” bella e convincente, gameplay semplice ma coinvolgente, adatto anche a non wargamer.
Contro: Una game experience di altissimo livello che concede moltissimo alle esagerazioni. Molto fumetto, molto splatter, ma anche e sopratutto molto “arcade” (inteso come videogioco).
Consigliato a: Tutti, ma con le dovute precauzioni. Avviso ai “tematici”: l’ambientazione fantasy può trarre in inganno; Zombicide Black Plague è più uno zombie game che non un gioco heroic fantasy tradizionale. Avviso ai gamers: buona parte delle regole molto discusse del suo predecessore Zombicide sono rimaste inalterate, o quantomeno sono state aggiustate solo marginalmente. Ottime per cominciare (lo dimostra il successo di tutta la serie), ma i più esperti sentiranno la necessità di qualche “house rule”.
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Realizzazione | |
Giocabilità | |
Divertimento | |
Longevità | |
Prezzo |
Idoneità al solitario: buona
Incidenza della fortuna: elevata
Idoneità ai Neofiti: elevata.
Il brand “Zombicide” conta ormai una notevole quantità di prodotti, compresi diversi spin-off e sequel. Siccome, in linea di massima, “Zombicide Black Plague” altro non è che un’ambientazione alternativa al titolo originale, abbiamo deciso di riproporre la nostra recensione di “Season One”, riveduta e corretta. Così se volete leggere di:
- “Zombicide Season One” e di alcune espansioni dedicate, leggete questa recensione, dove troverete anche il riferimento a un After Action Report in video;
- “Zombicide Black Plague” e le principali differenze con le regole originali, continuate qui sotto.
Buona lettura!
In “Zombicide Black Plague” i morti hanno iniziato a risvegliarsi affamati di carne umana, secondo uno stereotipo cinematografico (zombie movies) ben noto.
Fino a “Zombicide Black Plague”, erano le paure della quotidianità a fornire i giusti pretesti per innescare l’apocalisse. Nel 1968 George A. Romero, nel film cult “La Notte dei Morti Viventi”, attribuiva le cause alle radiazioni nucleari, mentre in “Zombicide Season One” le cause erano le manipolazioni genetiche, ovviamente innescate da multinazionali senza scrupoli, in cerca di facili profitti.
“Zombicide Black Plague” è, invece, inserito in un’atmosfera heroic fantasy tradizionale e, quindi, trovare le giuste spiegazioni diventa molto meno metafisico: i negromanti stanno ridando vita a ciò che dovrebbe dormire sonni eterni.
Le note di background del gioco assegnano a noi, poveri villici, il compito di fermare l’invasione prima che questa raggiunga le città e diventi incontrollabile. Poche decine di righe in tutto, nessuna trama che riconduca all’eterno ed epico scontro tra bene e male, nessuna raffinatezza di background che spieghi le arcane magie, nessuna atmosfera rarefatta che dia spessore ai personaggi.
Il gioco si propone quindi come un vero e proprio “B-Movie” d’altri tempi, dove ai costosi effetti speciali si preferivano i più economici barattoli di pomodoro, con cui produrre abbondanti pozze di sangue.
Gli “zombie movies” non rappresentano soltanto un vero e proprio capitolo fondante di questo modo di fare cinema: ancora oggi i nostri schermi sono invasi dai morti viventi, con produzioni importanti e costose come la fortunatissima serie “The Walking Dead” (e relativi spin-off), dove gli zombi diventano (anche) specie di supereroi, dotati di poteri straordinari. Zombicide si rifà alla tradizione classica dei film di Romero, che proponeva mostri lenti e impacciati, per quanto crudeli e macabri.
Astraendo il concetto, la guerra tra “sopravvissuti” e “zombie” proposta da Romero è un vero e proprio esempio accademico dell’eterno scontro tra “qualità” contro “quantità”. Una “guerra asimmetrica” che vede una forza molto numerosa, formata da elementi stupidi, lenti, impacciati e male armati, contrapposta a una forza molto esigua per numero, ma che prevale di gran lunga in qualsiasi altro fattore. Una situazione molto avvincente da modellare, al punto che la storia degli “zombie games” è perfino più ricca della stessa filmografia: sono infatti decine i giochi sviluppati sull’argomento.
Nonostante i tanti e illustri metri di paragone, al primo approccio “Zombicide Black Plague” ci abbaglia, anche se, rispetto a “Season 1”, i miglioramenti sono tutto sommato marginali, per quanto evidenti.
Alloggiate nella scatola con una cura maniacale ci sono le pedine di gioco (zombie e sopravvissuti): 71 miniature di plastica, con un pregevolissimo livello di dettaglio.
La mappa geomorfa (montabile in diverse configurazioni) è generalmente formata da sei dei nove grandi “tasselli” stampati fronte e retro. Ricordiamo, invece, che “Season One” privilegiava l’utilizzo di tutte e nove le tessere.
La mappa, le schede personaggio e il regolamento del gioco richiamano una grafica ben fatta, coerente e molto splatter. Gli schizzi di sangue sono un po’ ovunque, ma sapientemente adattata al fantasy classico. L’Abominion, il cattivissimo, è un mutante più simile a un troll di tolkeniana memoria che non a uno “zombie classic”. La miniatura del negromante ha una postura stereotipata, con tanto di bastone della magia esageratamente grande, con uno stile che richiama quello -inconfondibile- della Games Workshop.
Tutto l’impianto grafico risulta, invece, un omaggio alla fumettistica più moderna: le pedine di cartone, le schede personaggio e le carte di gioco (oltre 100) hanno lo stesso stile e la medesima cura grafica di “Season One”.
Qualsiasi appassionato di giochi potrebbe indovinare parte dei 6 personaggi che troviamo nella scatola base: il guerriero, il mago, l’elfo e il nano. La componente femminile del gruppo riserva, invece, parecchie sorprese, visto che troviamo una suora e una cameriera. In omaggio agli zombie movie, “Zombicide Black Plague” afferisce a loro come “sopravvissuti”. Non si tratta soltanto di mantenere una continuità con il resto della serie “moderna”, ma presto scopriremo che l’uso di questa definizione ha una valenza importante, sia in termini di gameplay che di modellazione del tema.
Una delle innovazioni più vistose rispetto a “Season One” è l’introduzione delle console di plastica dove trovano posto le schede “sopravvissuto”. Grazie ad una serie di “pioli” colorati è possibile tenere traccia di tutte le caratteristiche di ciascun personaggio. Le miniature dei sopravvissuti sono dotate di sotto-basette colorate, identiche a quelle già viste in Blood Rage e Arcadia Quest. In questo modo, potrete colorare i vostri aspiranti eroi a piacimento e continuare a riconoscerli con una semplice occhiata.
Le plance permettono una perfetta gestione delle carte equipaggiamento acquisite durante le sessioni di gioco: “mano destra”, “mano sinistra” e “corpo” sono locazioni attive, cioè dove le carte equipaggiamento danno corso ai loro effetti. Nello zaino possono essere trasportati fino a 5 oggetti, le cui carte vengono sistemate verticalmente sulla plancia, risparmiando spazio e ricordandoci che non possono essere utilizzate. Com’è lontano il caos che regnava sovrano sulle schede di “Season One”!
Un piccolo difetto del gioco è una certa rigidità rispetto al numero di giocatori: esistono regole per la compensazione, nel caso si giochi in sette o più giocatori (utilizzando qualche espansione) ma il numero di zombie attivati in ogni scenario è tarato al minimo per 6 personaggi. Quindi, nella stragrande maggioranza dei casi (ovvero un numero minore di 6 giocatori), è necessario condividere le attività di qualche personaggio. La difficoltà e l’estrema linearità del gioco, associate alle già decantate schede in plastica, permettono però di superare questo aspetto con grande semplicità: già 2 o 3 giocatori, anche alle prime esperienze, possono controllare tutti i sopravvissuti senza troppe difficoltà.
Il prezzo del gioco, adeguato alla quantità e alla qualità dei materiali, risulta sproporzionato al numero (10) di scenari messi a disposizione del gioco. Come in “Season One”, è più una questione di qualità che non di mera quantità: la storia dei precedenti capitoli di Zombicide ci insegna che, col tempo, gli scenari a disposizione aumenteranno rapidamente, grazie alla comunità e anche all’editore stesso.
Come già in “Season One”, è evidente la rigidità della struttura, a cominciare proprio dagli elementi spesso comuni a tutti gli scenari: UN punto d’ingresso, TRE punti di attivazione zombie, DUE cripte che celano armi formidabili e una serie di obiettivi generalmente legati a determinati punti della mappa.
Il meccanismo di attivazione che genera sempre più zombie rende inutile prestabilire una durata degli scenari: se i giocatori non faranno in fretta, il sempre crescente numero degli zombie prima o poi li sopraffarà.
Su questa struttura base, si innestano piccole e interessanti variazioni sul tema, come il dover trovare determinati oggetti o personaggi, oppure l’innesco di pericolose “reazioni a catena” (ad esempio: se apro quella porta, allora si innesca un nuovo punto di attivazione degli zombie).
In “Season One” fu la grafica fumettosa e splatter a dare un primo forte ed evidente segnale di discontinuità con una modellazione realistica degli scontri tattici, proponendo uno urban skirmish a base di shotgun e motoseghe. In “Zombicide Black Plague” sono proprio gli scenari a rimarcare questo aspetto. È stato infatti introdotto un livello sotterraneo (gestito dalle succitate “cripte”), presente in praticamente tutti e 10 gli scenari, che conferisce a “Zombicide Black Plague” ritmi frenetici e situazioni di gioco tipiche dei videogame “arcade”, dove lo spazio e il tempo -notoriamente- non seguono regole “fisiche”.
Prima di iniziare il gioco e valutare la “game experience” è necessario inquadrare con precisione il tema del gioco. L’ambientazione è quella “fantasy”: i protagonisti sono uomini d’armi con spada e scudo, aspiranti maghi che combattono in un vorticare di magie, elfi armati di infallibili archi e nani dotati di possenti martelli da guerra. I nostri avversari sono, invece, zombie di diverse tipologie. Fin qui, per quanto molto specializzata, l’ambientazione rispetterebbe i canoni tradizionali; ciò che, invece, manca completamente è l’aspetto “heroic”: non è prevista una “modalità campagna”, in cui i personaggi crescono in forza, fama e gloria.
A dire il vero, il tasso di mortalità dei sopravvissuti è generalmente abbastanza elevato e questo rende difficile allestire campagne ma, per quanto le note di background degli scenari cercheranno di convincervi del contrario, tutti e 10 gli scenari modellano la stessa situazione tematica: i giocatori si ritrovano sorpresi dalla vista dei non morti e si attivano per affrontarli al meglio. Nel corso del gioco, i sopravvissuti matureranno abilità a una velocità tale da ricordare i supereroi dei fumetti, ma al termine della partita perderanno tutto ciò che hanno acquisito.
Sui forum di tutto il mondo -e dentro la nostra redazione…- infuria la battaglia per stabilire se questo sia bello e originale, oppure una brutale deturpazione di un genere letterario. In attesa di vedere quale fazione ne uscirà vincitrice, rassegnatevi all’idea: inizierete villici e come villici sempre ricomincerete…
54 carte determinano il numero e la tipologia delle attivazioni degli zombie, contribuendo a gestire un semplice schema di progressione matematica, condito da numerosi imprevisti. Un mix tra un lento e prevedibile per quanto inesorabile crescendo e il susseguirsi di improvvisi e spesso pericolosi colpi di scena: questo è uno dei punti di forza di tutta la serie “Zombicide”, ma allo stesso tempo non trova mai alternative a se stesso. Anche i non-morti seguono, quindi, sempre gli stessi canoni tematici!
I punti di attivazione a bordo mappa “partoriscono” zombie ad ogni fine turno, dopo che tutti i giocatori hanno fatto le loro azioni, mentre i personaggi stessi, aprendo la prima porta di ciascun edificio, attivano gli zombie al loro interno.
Come vedremo, in qualsiasi modo si attivino, i giocatori hanno un seppur minimo controllo della crescita dell’invasione. Così, i sopravvissuti presto imparano piccole tattiche, come cercare di aprire più stanze possibili (perlomeno degli edifici più grandi) all’inizio del gioco, quando le attivazioni di zombie sono ancora un numero ragionevole. Questo spesso innesca situazioni tattiche quasi da fumetto, molto divertenti e movimentate: “Apriamo quella porta, facciamo defluire gli zombi da quell’uscita appena praticata, poi noi rientriamo dalla parte opposta…”.
All’inizio del gioco, ogni personaggio ha a disposizione 3 azioni (gran parte degli zombie soltanto una) e un’abilità speciale (ad esempio, grazie alle ormai celeberrime abilità razziali, l’elfo fa un miglior uso dell’arco rispetto a qualsiasi altro personaggio).
Dapprima i sopravvissuti aumenteranno il numero delle azioni a loro disposizione (da 3 a 4), poi potranno imparare nuove abilità speciali. A disposizione non c’è soltanto qualche modificatore per i dadi: ci sono anche caratteristiche più dinamiche, come “combo” di azioni e la “carica”, che permette di muovere e attaccare in un turno solo. A ogni successivo step di crescita, ciascun personaggio può scegliere fra un limitato numero di abilità, congruenti rispetto al proprio background.
Ogni sopravvissuto cresce in modo autonomo. La crescita è infatti legata al numero di zombie che ciascuno di loro uccide. Il numero di zombie che verranno attivati in ogni turno si determina, invece, in base al numero di zombie uccisi dal giocatore con lo scoring migliore. I giocatori sono, quindi, costantemente chiamati ad affrontare uno spinoso trade off: uccidere zombie per evitare che la situazione diventi insostenibile sulla mappa, oppure cercare di raggiungere gli scopi della missione prima che il numero degli zombie uccisi inneschi attivazioni dai numeri insostenibili.
Questo meccanismo non permette di specializzare eccessivamente la squadra dei personaggi. Creare ruoli come il “massacratore di zombie”, il “cercatore di oggetti”, il “corridore” e così via è davvero molto pericoloso. È necessario che i sopravvissuti suddividano le uccisioni degli zombie quanto più possibile, al fine di garantire a tutti i personaggi migliori performance indispensabili per fronteggiare la crescente minaccia.
Gli zombie sono suddivisi in 3 categorie (ci perdonino i traduttori, ma i nomi della versione originale ci piacciono di più): i lenti e deboli “Walker”, la cui forza risiede nel numero; poi esistono i “Runner”, veloci ma comunque facilmente abbattibili da qualunque arma; e, per chiudere, i “Fatty”, che risultano lenti e non molto numerosi, ma resistenti alle armi più comuni.
Fanno storia a parte i 2 “boss monster”: il terribile “Abominion”, creatura mutante mostruosa che -perlomeno nella scatola base- si può uccidere soltanto con la bile di drago (ricordate le Molotov in “Season One”?); il Negromante, debole e lento come un Walker, ma appena entra in gioco crea una nuova “fonte di attivazione” di zombie, salvo poi fuggire verso l’uscita dalla mappa più vicina. Se i giocatori riusciranno a intercettarlo ed ucciderlo, potranno togliere una qualsiasi delle fonti di attivazione (non necessariamente quella creata nel punto in cui è sorto il Negromante). Se, però, dovesse uscire indenne dalla mappa, lo scenario continuerà con il nuovo punto di attivazione attivo (e allora… auguri!).
Poter eliminare una fonte di attivazione a propria scelta in molti casi è un vantaggio tattico davvero importante. Ecco dunque che il meccanismo ricalca fedelmente il funzionamento di alcuni bonus dei giochi arcade: arrivano, attraversano parte dello schermo/mappa a gran velocità e, per godere di qualche vantaggio, bisogna “prenderlo” in tempo.
Gli zombie si muovono lentamente (anche i “runner” sono comunque più lenti dei sopravvissuti), secondo un algoritmo di attivazione piuttosto sofisticato (se comparato col grado di difficoltà relativamente semplice del gioco). Gli zombie sono per prima cosa attratti dalla vista dei sopravvissuti e in secondo luogo dai rumori generati dalle armi e dai sopravvissuti stessi.
In “Season One” si finiva per spostare (inutilmente) orde di zombie inesorabilmente lontane dal gruppo di giocatori e dai loro obiettivi. In “Zombicide Black Plague” questo aspetto è quasi del tutto risolto, un po’ perché -come già accennato- le mappe risultano di un terzo più piccole, e un po’ grazie all’introduzione dei sotterranei (cripte).
Ognuna delle 2 cripte è formata da due tasselli “botola”, che vengono piazzati all’intero di stanze locate a grande distanza l’una dall’altra e da una tessera di piccole dimensioni che viene posta al lato della mappa. I giocatori che si trovano in una stanza con la botola, possono aprirla come qualsiasi altra porta (anche se non attiveranno nessun nuovo zombie). Essi potranno poi accedere fisicamente al locale “cripta”, dove si nasconde sempre un’arma speciale, decisamente più forte di quelle “standard”. Dopodiché potranno aprire anche l’altra botola, che stavolta potrebbe attivare nuovi zombie, se la stanza di destinazione non è stata ancora rivelata.
Una volta aperta la via, le cripte permettono di andare da una parte all’altra della mappa in solo 2 movimenti, rappresentando scorciatoie non solo per i giocatori, ma anche per gli zombie più lontani: il ritmo e la frenesia del gameplay è davvero intenso! Ciò nonostante, “Zombicide Black Plague” mantiene gli stessi punti di forza di “Season One”: può capitare che qualche sopravvissuto rimanga nascosto in una stanza, aspettando che passi un’orda di zombie, magari attratti da un altro personaggio che funge da esca.
I giocatori hanno a disposizione una nutrita serie di azioni che possono svolgere in qualsiasi ordine: ricerca, combattimento (a distanza o corpo a corpo), aprire porte, scambiarsi oggetti, raggiungere “zone obiettivo”, fare volutamente rumore e, naturalmente, “passare” senza compiere alcuna azione.
Aprire le porte degli edifici può essere fatto solo se dotati di armi adatte allo scopo. Alcuni di questi oggetti aprono la porta in silenzio, altri fanno rumore e talvolta è una differenza sostanziale tra richiamare l’attenzione e passare del tutto inosservati.
Circa 50 carte sono utilizzate per gestire tre diversi tipi di equipaggiamento: armi a distanza, armi per il corpo a corpo ed equipaggiamento vario (cioè oggetti non utilizzabili in combattimento).
I personaggi iniziano **TUTTI** gli scenari con armi non troppo efficaci. Se da un punto di vista tematico -come accennato in precedenza- entriamo nella sfera dei gusti personali, dal punto di vista della game experience è difficile non notare che la febbrile ricerca si ripete sempre uguale a se stessa. Ad ogni scenario, la prima cosa da fare è rovistare disperatamente in ogni anfratto per recuperare oggetti e precipitarsi verso almeno una delle 2 cripte per recuperare le super-armi. A chi ritiene questa situazione eccessivamente ripetitiva, si può opporre il famoso paradosso del gioco di ruolo, che risulta sempre uguale a se stesso per ragioni diametralmente opposte.
Il paradosso dei giochi di ruolo: cambiare tutto per non cambiare nulla.
Quando i personaggi nascono e hanno armi deboli e pochi punti ferita, affrontano mostri deboli con poca resistenza. Dopo molte avventure, dotati di armi micidiali e mirabolanti armature, affrontano mostri terribili e devastanti. Cambiano le forze in campo, ma non il rapporto fra loro.
Così non vi resterà che valutare, scenario dopo scenario, il giusto equilibrio tra la sicurezza di rimanere in spazi relativamente protetti, in attesa di avere l’equipaggiamento necessario, e un atteggiamento più dinamico e aggressivo, che punta a recuperare l’equipaggiamento necessario “on the road”.
Le regole relative alle armi da lancio sono sicuramente la miglioria più interessante rispetto a “Season One”. Se nella casella obiettivo sono presenti diverse tipologie di zombi e/o anche altri sopravvissuti, il giocatore decide liberamente a chi mirare, ma tutti i “colpi” che non vanno a segno ricadono automaticamente sugli eventuali avventurieri presenti. Grazie alle armature, il rischio diventa spesso accettabile e la giocabilità risulta più credibile e meno ingessata.
Le armi da corpo a corpo possono essere usate soltanto a stretto contatto con gli zombie, ma non provocano mai danni ad altri sopravvissuti eventualmente presenti. L’arsenale a disposizione è piuttosto vario. I sopravvissuti che si impegnano nei combattimenti corpo a corpo devono essere certi (o quasi) di “ripulire” l’area in cui si trovano o di disporre di azioni sufficienti per poterla abbandonare durante lo stesso turno di gioco. Infatti, nella fase di gioco seguente, toccherà agli zombie attaccare. Essi non necessitano di alcun tiro di dado, ma colpiscono automaticamente provocando ferite, salvo che queste non siano assorbite da eventuali armature.
“Zombicide Black Plague”, in pieno spirito fantasy, cambia leggermente la game experience rispetto a “Season One”. Le mappe più piccole e le scorciatoie rendono il contatto più frequente, le armature attenuano i danni subiti e comunque i personaggi hanno 3 ferite contro le 2 di “Season One”. Inoltre, anche l’equipaggiamento iniziale dei personaggi è più efficace. Se in “Season One” esistevano davvero poche alternative al “run & gun”, in “Zombicide Black Plague” la via verso la vittoria passa anche attraverso l’uso della forza bruta.
Alcune armi generalmente utilizzate con una sola mano possono essere “accoppiate”. Se cioè se se ne possiedono due, possono colpire contemporaneamente lo stesso bersaglio, raddoppiando la capacità offensiva. A questo si possono aggiungere carte che permettono di rilanciare tiri particolarmente sfortunati. Tutto questo permette ad alcuni personaggi di diventare delle imponenti macchine da guerra, che ad ogni turno possono mietere parecchie vittime; ma non dimenticatelo mai: più zombie ucciderete, più se ne attiveranno!
L’equipaggiamento generico è piuttosto vario. Alcuni oggetti di vettovagliamento (acqua, cibo, ecc.) in alcuni casi risultano indispensabili per poter tentare di vincere lo scenario, ma nella maggior parte dei casi possono essere utilizzati soltanto per guadagnare “punti esperienza”.
L’azione di scambio degli equipaggiamenti è davvero molto (troppo?) efficace. Al costo di una sola azione, sia il giocatore cedente che quello ricevente possono liberamente riorganizzare le proprie cose dopo essersi scambiati quanto necessario. Bisogna rassegnarsi all’idea che il “colpisci, colpisci e passa l’arma al prossimo giocatore” ripetuto all’infinito sia una scelta fortemente voluta dagli autori.
Il loop che ne scaturisce è ben poco realistico e spinge i giocatori a muoversi in “branco”. Pertanto si consiglia di auto-vietarsi esplicitamente che due o più personaggi possano utilizzare lo stesso oggetto nel medesimo turno.
Visto che l’house rule da noi proposta altera sensibilmente le forze in campo, vi consigliamo un meccanismo di compensazione che aumenta non solo le performance dei sopravvissuti, ma anche le capacità decisionali dei giocatori.
Il meccanismo prevederebbe una rigida sequenza di gioco dei sopravvissuti, facendo slittare ad ogni turno il primo giocatore. Lasciate, invece, liberi i giocatori di scegliere in quale ordine svolgere il turno e, man mano che un giocatore termina la proprio fase, mettete la corrispondente miniatura supina, in modo tale da non dimenticarsi chi ha già eseguito le proprie azioni. Alla fine del turno, prima di iniziare ad attivare gli zombie, rialzate le miniature e l’house rule è servita.
Bottom Line
La localizzazione italiana è perfettamente allineata alla versione internazionale “retail”, ma non bisogna dimenticare che “Zombicide Black Plague” ha avuto una ricchissima genesi su Kickstarter, dove ha raccolto oltre 4 milioni di dollari. Questo non solo ha permesso alcune soluzioni “extra lusso”, come le plance di plastica, ma ha anche arricchito il gioco di una quantità abnorme di materiale aggiuntivo che, ad eccezione delle esclusive Kickstarter, presto raggiungerà gli scaffali dei negozi sotto forma di espansione.
Un successo planetario che da solo esprime un verdetto sull’indice di gradimento nei confronti di questo spin-off; eppure “Zombicide Black Plague” è tutt’altro che esente da criticità.
Dal punto di vista tematico, le magie usate anche dai contadini rimangono l’esempio più eclatante di tante piccole sbavature che la grande semplificazione produce. È anche vero che i cultori dell’heroic fantasy tradizionale avranno preferito altri prodotti già da parecchi paragrafi.
Specularmente, non bisogna dimenticare o sottovalutare i molti limiti relativi alla modellazione del combattimento, ma anche in questo caso il target non è quello dei vecchi grognard, amanti delle simulazioni ortodosse e sofisticate.
Nonostante gli evidenti limiti, il gioco è davvero bello e divertente, perché privilegia ogni esagerazione. Ci sono troppi zombie, i personaggi crescono troppo in fretta, alcuni oggetti sono troppo potenti, ecc.: insomma, l’atmosfera è proprio quella tipica degli zombie movie!
C’è improvvisazione e concitazione, combattimento e azione, disperati tentativi di nascondersi e rocambolesche fughe. La vera forza, quindi, è l’atmosfera che sa creare, anche grazie alla grandiosa grafica. Queste sono le ragioni per cui molti neofiti si avvicinano a un tipo di gioco generalmente ostico, senza contare i tanti che vedono in questa ambientazione “ibrida” una ventata di aria fresca!
I miglioramenti rispetto a “Season One” sono evidenti, ma comunque marginali. Così marginali che il manuale vi invita a utilizzare in “Zombicide Black Plague” i personaggi dell’era moderna e il relativo mazzo delle armi: ricordate “i bastoni tonanti” di tanti B-Movie?
Non dimenticate, però, la vera differenza: in “Season One” tendenzialmente si fuggiva l’orda, ora la si affronta con maggior spavalderia. Diciamo la verità: dopo una dura giornata di lavoro o studio, uno zombie da prendere a colpi di martello da guerra è proprio quello che serve per rilassarsi e scaricare la tensione. Armati, naturalmente, dello spirito giusto: “Ma ‘ndo vai se l’ascia bipenne non ce l’hai?“
Si ringrazia Asterion Press per aver messo a disposizione la copia di valutazione del gioco.
Autore: R. Guiton, J.B. Lullien, N. Raoult
Anno: 2015
- Hellapagos - 8 Febbraio 2021
- Four Against Darkness - 13 Gennaio 2021
- Last Aurora - 7 Gennaio 2021