Riportiamo l’articolo a firma di Angelo R., un membro della nostra redazione, pubblicato sulla rivista “Il senso della Repubblica” – maggio 2015. Sottoponiamo alla vostra lettura una versione leggermente estesa, completa di una parte più descrittiva del Play 2015, che aiuterà chi è stato a quella manifestazione a meglio contestualizzare quanto espresso.
“Il gioco è severamente vietato ai minori di anni 18”.
Questa frase era una volta affissa in tutti i bar e i circoli, ma col tempo questi cartelli, ormai ingialliti dal fumo degli avventori, dal tempo e soprattutto dagli eventi, sono stati rimpiazzati da frasi inserite a termini di legge alla fine degli spot che pubblicizzano i giochi d’azzardo, tipo: “il gioco può causare dipendenza patologica”.
Sia la vecchia prescrizione “proibizionista” che l’altra frase, testimone della attuale fase di svolta “liberista”, se decontestualizzate, appaiono come veri e propri ossimori. Non serve, infatti, un’analisi semantica della parola “gioco” per intuire un’ambiguità, se non un vero e proprio uso distorto del temine.
Gioco, Giochi Pubblici, Giochi d’azzardo
In Italia il cosiddetto “gioco pubblico” è definito come “… tutti i giochi regolamentati da AAMS – Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato…”(1) ed ingloba “… tutte le forme di gioco legali presenti in Italia che sono appunto, sempre secondo la legge, i giochi d’azzardo, d’alea e di abilità…”(1). Il “gioco d’azzardo” è quindi un sottoinsieme del “gioco pubblico”, la cui definizione è quella prevista dalla art. 721 codice penale: “Sono giuochi d’azzardo quelli nei quali ricorre il fine di lucro e la vincita o la perdita è interamente o quasi interamente aleatoria ”.
Per i minori di 18 anni, il gioco è un diritto sancito dalla “Dichiarazione dei diritti del Fanciullo”, ratificata la prima volta dalla Società delle Nazioni nel lontano 1924: “Il fanciullo deve avere tutte le possibilità di dedicarsi a giochi e attività ricreative che devono essere orientate a fini educativi”. Le attività ludiche sono, ovviamente, riconosciute dalla comunità internazionale (2) come uno strumento fondamentale, attraverso il quale è possibile favorire la capacità di apprendimento, l’affinamento della manipolazione, lo sviluppo della memoria e, non ultima, la socializzazione.
Ludopatia
È quindi lecito chiedersi perché il gioco perda nel tempo la propria valenza positiva, al solo susseguirsi delle normali fasi di crescita di un individuo. Quando cioè, nell’immaginario collettivo, questa attività socio-ricreativa diviene una minaccia potenziale, pericolosa a tal punto da divenire perfino malattia: il significato letterale di “ludopatia” lascia ben poco spazio all’interpretazione.
Secondo “ALI per giocare”, l’Associazione Italiana delle ludoteche e dei ludobus, e altre centinaia di associazioni di settore, il gioco non perde mai le proprie caratteristiche di formidabile aggregatore, di stimolatore della creatività, di volano della cultura e dell’apprendimento più in generale. Il pericolo sta nell’uso indistinto del termine, rendendo concreto il rischio di utilizzare indebitamente la parola “gioco” svuotandola dell’eccezione positiva che ognuno di noi ne conserva fin dai tempi dell’infanzia (3).
In Italia, come all’estero, è presente una crescente comunità che invece non si rassegna ad avallare questa “appropriazione solo parzialmente debita” che sia la vulgata che le frasi ricordate in apertura, sembrano sostenere. Una comunità che tra le tante attività ed iniziative di settore organizzate, si ritrova ogni anno a Modena per il “Play – Festival Italiano del Gioco”, la cui settima edizione si è svolta l’11 e 12 aprile scorsi. I dati raccolti dagli organizzatori della manifestazione hanno evidenziato un tasso di incremento a doppia cifra, superando per la prima volta le 30.000 presenze complessive. Un afflusso davvero imponente, che ha letteralmente riempito di appassionati, curiosi, bambini e genitori i due ampi padiglioni della Fiera di Modena.
In questo contesto favorevole, hanno trovato risalto tutte le attività che a diverso titolo sono legate al mondo del gioco. Alcune cooperative specializzate hanno proposto attività ludiche, legate all’animazione socioculturale. Di particolare interesse la riproposizione in grande formato dei giochi in legno della tradizione popolare, legati perlopiù alle abilità manuali. In questo padiglione, talvolta era possibile catturare qualche frase entusiasticamente pronunciata dai nonni in direzione dei nipoti – “erano queste le nostre Play Station!” – quale segno tangibile di un ponte generazionale tanto forte quanto inusuale.
Come di prassi, i rigorosi giocatori di simulazioni belliche hanno trasmesso agli avventori nozioni di storia militare (innescando spesso una curiosità anche per la storia tout court), attraverso giochi di diversa difficoltà e collocazione storica, mentre nella pista dedicata al modellismo dinamico sfrecciavano bolidi che di miniaturizzato avevano solo le dimensioni, ma di certo non era in miniatura la passione per la competizione evidenziata dai sapienti manipolatori dei telecomandi.
L’Ateneo di Modena e Reggio Emilia ha proposto la consueta “Tavola Esagonale. Musei per gioco: per imparare giocando” che quest’anno ha avuto come argomento “Gioco e formazione” e anche un ricco programma di attività di gioco per grandi e piccini.
Una parte consistente della manifestazione era, però, dedicata al “gioco da tavolo”, un mercato sorprendentemente simile a quello dei libri, seppur di dimensioni più contenute. Dietro i prodotti “mass market” (Risiko, Monopoli, Cluedo), in grado di trovare spazio sugli scaffali della grande distribuzione, si nasconde una produzione di qualità elevata, suddivisa in una nutrita serie di generi e sottogeneri, per nulla differenti da quelli letterari. Si pensi, ad esempio, alla suddivisione tra i cosiddetti giochi “american” ed “euro”: il primo indica un filone più “avventuroso”, dove dadi ed ambientazione sono i protagonisti, mentre il secondo, più “mainstream”, pone pesantemente l’accento sulle capacità dei singoli giocatori, fedele alla logica del “vinca il migliore”.
In un contesto come questo, non può mancare una pletora di autori affermati, che firmano i propri giochi come se fossero libri. Osannati e criticati proprio come gli scrittori di grido, hanno stili e filosofie realizzative che ne contraddistinguono la produzione. Questa manifestazione rappresenta, quindi, la vetrina ideale in cui autori e case editrici presentano al pubblico le loro novità, oltre a essere un’ottima opportunità per gli appassionati per “toccare con mano” vecchi e nuovi titoli, provandoli in apposite aree attrezzate.
Ultimo ma non ultimo in questa breve carrellata, il grande stand di un’associazione che si occupa della diffusione dei Lego, i celeberrimi mattoncini danesi che, da generazioni, uniscono padri e figli nella costruzione di più o meno complessi modelli in scala, oltre a permettere di dare sfogo alla propria creatività: durante le 2 giornate, sono stati costruiti (e successivamente smontati) circa 800 modelli.
Una manifestazione di settore, certo, ma non per questo rinchiusa in un mondo di relazioni autoreferenziali tra piccole nicchie di appassionati: infatti, se all’interno dei padiglioni, l’adolescente (come l’adulto) ha potuto misurarsi nei diversi tornei organizzati, all’esterno della fiera il gioco ha cercato di relazionarsi con la città. In primis, si è cercata un’ampia sensibilizzazione del mondo della scuola, permettendo alle scolaresche di ogni ordine e grado di visitare gratuitamente la manifestazione. Oltre a questo, sotto il nome di “Play and the City”, sono state approntate in diversi punti della città di Modena decine di attività ludiche. Si prenda a titolo di esempio “Re-Generation”, un torneo che ha visto 47 coppie di nonni e nipoti contrapporsi in una sorta di decathlon ludico, allegro ma non certo privo della necessaria competitività. Non sono mancati neppure momenti cha hanno permesso l’intreccio tra mondo ludico ed altri eventi culturali, come ad esempio l’iniziativa “7 giochi per i 70 anni della Liberazione”, nella quale alcuni giochi, come la “caccia al tesoro” o la “decodifica di codici segreti”, sono stati adattati per modellare le vicende della Resistenza, dalla “staffetta partigiana” alla ricerca del rifugio sui monti dell’Appennino.
Gioco ai tempi di internet
In questi due giorni, quindi, il gioco e i suoi operatori hanno dimostrato la valenza creativa, culturale e sociale delle attività ludiche: è evidente che, anche ai tempi di Internet, è comunque possibile sedersi attorno a un tavolo e condividere il piacere “fisico” della compagnia, la passione per il ragionamento, sorrisi e, perché no, nozioni.
L’unica forma di gioco – volutamente – assente dalla manifestazione è stato il gioco pubblico, di cui più sopra abbiamo ricordato la definizione. Il gioco presente al Play di Modena può essere visto come il Davide, un settore ancora di nicchia fatto di relativamente pochi appassionati e operatori specializzati, che si è voluto distinguere dal Golia, il “gioco pubblico”: un gigante divenuto il quinto elemento per fatturato dell’economia italiana. Ma davvero questi due mondi sono così nettamente separati e distinti?
Chi ha una cultura ludica non per questo è un bacchettone, e tende invece a condividere la ratio di molte leggi (purtroppo regionali, perché al momento manca ancora una linea guida nazionale) in materia di gioco d’azzardo, che si esprimono a favore di un gioco “responsabile, misurato e consapevole” (4).
Pregiudiziale
Infatti va chiarito che non esiste una pregiudiziale rispetto alla posta in palio, anche in denaro: nel Backgammon, ad esempio, la scommessa è parte integrante del regolamento, nonostante si tratti di un gioco a cui viene universalmente riconosciuta una profondità analitica simile a quella degli scacchi, e rappresenti un’attività ludica così popolare da essere praticata nelle strade di molte città del bacino del Mediterraneo.
Nondimeno però si constata che valori e caratteristiche delle tipologie di giochi protagonisti della kermesse modenese, sembrano rappresentare una formidabile forma di prevenzione rispetto alle possibili derive negative del gioco d’azzardo.
Infatti, chi è educato al gioco impara a utilizzare schemi comportamentali ben precisi: la semplice necessità di rispettare le regole implica la precisa conoscenza delle stesse. Acquisita la necessaria consapevolezza del meccanismo, si attiva l’analisi delle probabilità di successo per ciascuna delle azioni permesse: un giocatore di scacchi sa che muovendo la propria regina in una determinata casella questa, salvo improbabili sviste dell’avversario, verrà catturata, decretando la propria sconfitta.
Slot-Machine e Video-Lotterie
Ci si abitua cioè ad analizzare i modelli matematici e probabilistici che stanno alla base di qualsiasi correlazione tra “causa” (azione del giocatore) ed “effetto“ (cosa succede nel gioco). Una consapevolezza che diviene deterrente verso alcune delle forme di azzardo a più alto rischio di patologia, come slot-machine e video-lotterie, dove nessuna abilità dell’utente contribuisce a determinare – nemmeno marginalmente – l’esito finale, tanto che è perfino lecito chiedersi, a prescindere dalle definizioni, se possono essere considerate propriamente come giochi.
Grazie!
Per questa ragione, oltre alle importanti battaglie a cui quotidianamente assistiamo per tenere le sale scomesse/slot lontano da luoghi sensibili come scuole e parrocchie, auspichiamo che presto entrino nelle aule scolastiche delle attività di divulgazione ludica. Queste dovrebbero essere focalizzate su più piani, come per esempio quello che spieghi i più comuni meccanismi matematici alla base delle diverse forme di gioco (anche di azzardo) con scopo, per esempio, di consentire ai ragazzi di riconoscere l’assoluta infondatezza di alcune credenze popolari, come quella dei numeri “ritardatari” del lotto. Più in generale, si aiutino i ragazzi ad identificare distintamente le differenze tra le diverse forme di gioco, mettendo in guardia sui pericoli del gioco d’azzardo, in linea di principio potenziali, ma che le cronache ci dicono essere anche concreti e devastanti in presenza di abuso. Come spesso accade, la conoscenza è l’arma di prevenzione più potente.
(1) “Il gioco d’azzardo – Le ludopatie” ricerca coordinata dal Codacons per AAMS.
(2) “la dichiarazione dei diritti del fanciullo” è stata approvata dall’Assemblea generale delle nazioni Unite nel 1959.
(3) dal sito della campagna “Mi azzardo a dirlo” promosso da ALI: “Il diritto al gioco è un diritto per tutti. Ma anche la parola GIOCO ha qualche diritto. Quello di non essere usata in maniera sbagliata.”
(4) Legge regionale Emilia Romagna 04 luglio 2013, n. 5: “Rafforzare la cultura del gioco misurato, responsabile e consapevole, il contrasto, la prevenzione e la riduzione del rischio della dipendenza da gioco”.
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