Puoi ordinare i tuoi giochi su GET YOUR FUN |
In occasione dell‘apertura della prevendita del suo nuovo librogame, che verrà pubblicato da Edizioni Librarsi e sarà intitolato “La Luna del Raccolto”, approfittiamo della nostra vasca segreta nell’acquario di Genova per fare una bella chiacchierata con il suo autore, originario di questa città: Marco Zamanni.
Presentandolo, possiamo dire che Marco Zamanni è una figura di grande spicco ed autorevolezza nel mondo dei librogame, apprezzato particolarmente per le sue conoscenze e capacità tecniche, che gli hanno permesso di pubblicare completamente da solo alcune sue opere, nonché di offrire consulenza e svolgere svariati compiti per diverse case editrici.
Finalmente dopo questi dovuti convenevoli siamo prontissimi per iniziare!
1) Ciao Marco, innanzitutto ti ringraziamo per averci concesso questa intervista, e partiamo subito con una richiesta molto difficile: vorremmo che spiegassi in breve ai nostri lettori cosa rende per te così unici i librogame e perché dovrebbero iniziare a leggerli. Forse alcuni lettori di Balena Ludens potrebbero averne già provato qualcuno senza saperlo.
Innanzitutto grazie a voi per lo spazio che riservate ai librogame sul vostro sito!
I punti di forza di un libro interattivo sono a ben vedere gli stessi che hanno determinato negli ultimi anni il grande successo dei giochi di società. Leggendo un librogame si vive un’esperienza in cui il lettore è impegnato attivamente, proprio come attorno a un tavolo, e sta a lui applicare le regole per “vincere” la sua battaglia contro il gioco – come in un boardgame in solitario, ma con l’indubbio vantaggio di non dover effettuare il setup e il teardown dei materiali, visto che tutto il gioco è contenuto all’interno di un libro!
Le somiglianze tra gioco da tavolo e librogame sono tali che, come tu stesso giustamente sottolinei, esistono prodotti “ibridi” ascrivibili per certi versi a entrambe le categorie; penso ad esempio a “Sherlock Holmes: Consulente Investigativo”, “Detective” oppure “Bacci Pagano – Il Gioco”, realizzato proprio da me e dal mio sodale Enrico Corso. Rispetto a queste opere i librogame puri hanno il pregio di potersi concentrare soprattutto sulla storia, riuscendo a dare il giusto spazio alla parte narrativa, che spesso nei giochi da tavolo d’investigazione finisce per essere un po’ sacrificata.
2) Credi che al giorno d’oggi i librogame vengano letti per gli stessi motivi per cui venivano letti negli anni 80? Oppure quelli di oggi sono lettori diversi?
Chi si avvicinava ai librogame negli anni 80 era affascinato dal fatto che potessero esistere cose del genere: un’avventura in cui il protagonista sei tu? Un mondo intero perfettamente descritto da esplorare? Se pensi che i gamebook hanno addirittura anticipato videogiochi come Hexen, con la serie “Combat Heroes” di Joe Dever... Poi nei 90 l’avvento di prodotti videoludici sempre più elaborati ha reso la proposta meno intrigante (anche se, a mio modestissimo avviso, una grossa fetta della “colpa” per il declino è da ascriversi alla scarsa qualità media dei prodotti pubblicati in quegli anni).
Chi oggi si avvicina ai librogame non si stupisce del fatto che esperienze del genere esistano, ma trova sorprendente che possano essere godute in formato analogico, senza un computer. Anche qui troviamo una similitudine con i giochi da tavolo, che riescono a rendere con meccaniche analogiche esperienze che fino a poco tempo fa erano prerogativa dei soli videogiochi, e senza il timore di obsolescenza o rottura dei supporti a distanza di anni.
Poi ovviamente ci sono i nostalgici/collezionisti, per i quali vale un discorso ancora diverso. In Italia – e solo in Italia, con giusto una somiglianza in Francia con la Gallimard – il librogame è diventato popolare anche perché oggetto di collezionismo, grazie all’intuizione avuta dall’editore E.Elle con la collana uniforme “librogame” (che, per chi non lo sapesse, raccoglieva al suo interno opere che non avevano nulla a che fare tra loro). Il fatto stesso che in questa intervista stiamo usando il nome del loro marchio, ormai volgarizzato, per riferirci ai librigioco credo parli da solo. Oggi molti si affacciano di nuovo ai librogame per rivivere quella esperienza collezionistica; ma, visto che gli editori moderni non stanno facendo nulla per seguire la strada tracciata dalla E.Elle sotto quel punto di vista, sul lungo periodo i collezionisti di solito o abbandonano o tornano a essere avidi lettori.
3) La cura nella creazione dei librogame moderni è di un livello eccezionale rispetto al passato, infatti possiamo dire che prodotti riusciti davvero male siano ormai più unici che rari. A cosa pensi sia dovuto questo fatto?
Le ragioni per cui la “scuola italiana” degli autori di librogame è molto attenta al game design sono molteplici. La prima è da ricercarsi nel fatto che i nostri “numi tutelari” sono Joe Dever, Dave Morris e lo Steve Jackson di Sortilegio, i tre autori di maggior successo in Italia; le loro opere già negli anni 80 erano caratterizzate da una grandissima cura della parte gioco, che è rimasta quindi come standard per i nostri gusti. Nel resto del mondo invece i riferimenti principali sono le serie Scegli la tua Avventura (negli USA) e Fighting Fantasy (UK), nelle quali la parte gioco non era oggetto della medesima, maniacale attenzione rispetto ai libri più diffusi nel nostro paese.
La seconda ragione dipende dal fatto che molti autori italiani hanno competenze di game design, venendo dal mondo dei giochi da tavolo moderni oppure conoscendolo bene; ed è un altro campo in cui il nostro paese ha molto da dire.
Infine, ma non per importanza, va ricordato il fondamentale contributo dato da Librogame’s Land, una community che per quasi vent’anni ha tenuta viva la fiamma del librogioco in Italia, con continue sperimentazione di cui oggi vediamo i frutti. Mentre la scena anglosassone sta ripartendo ora dalle tappe raggiunte a fine anni 90, possiamo dire che l’evoluzione in Italia (ma anche in Francia, Spagna e alcuni paesi dell’est, grazie a community simili) non si sia mai fermata.
Inoltre è indubbio che più si vada avanti più il fatto di pubblicare opere curate dal punto di vista del gameplay diventi comune, perché opere che fino a pochi anni fa erano viste come “novità” (penso ad esempio al Venture System di Kata Kumbas) sono diventate dei veri e propri “nuovi classici” in grado di settare nuovi standard.
4) Credi che la cura della parte gioco possa rappresentare una strada vincente rispetto al passato?
Forse ti sorprenderò dicendo: no, assolutamente no. Anzi, c’è stato un momento in cui l’ossessione per avere una parte gioco elaborata e funzionante ha rischiato di diventare un feticcio, ma per fortuna gli editori italiani hanno imparato a tenere a freno quelle derive. Una buona parte gioco aiuterà i librogame ad avere una maggiore diffusione, rendendoli più accessibili ai neofiti, ma le opere di successo saranno sempre e solo quelle con una bella storia, un mondo affascinante e illustrazioni in grado di catturare. Come dico spesso, esistono tantissimi librogame dalla parte gioco scarsa che hanno avuto successo grazie alla storia, ma non esistono libri con storie brutte diventati popolari per le loro meccaniche di gioco. Perché? Perché come dicevo all’inizio il plus del librogame rispetto al gioco da tavolo è la narrazione. Se manca quella, allora tanto vale mettere sul tavolo un boardgame in solitario.
5) Immaginando perfettamente la grande difficoltà nello scrivere un librogame, cosa ha spinto un appassionato come te (ancora sano di mente) a volerne creare uno? Ci sono stati buchi nell’acqua in questo percorso? Vuoi raccontarci qualche episodio? Chi ti ha dato il supporto maggiore?
Ahimè, la mia mente non è affatto sana, ma forse è quello il segreto! Ho cominciato a scrivere librogame a 8-9 anni. La mia prima serie degna di questo nome, ossia “Dragowolf“, è stata elaborata nella sua prima e acerba versione tra il 1994 e il 2000. È una cosa che faccio da sempre e che fa parte di me. Non so quindi perché abbia cominciato ma so perché vado avanti: perché faccio divertire le persone con le mie opere. Quando ciò non accadrà più, sarà giunto il momento di smettere.
Buchi nell’acqua ne ho fatti a iosa, ma nulla di lontamente paragonabile ai miei tentativi di produrre romanzi, giochi da tavolo, videogiochi, canzoni… anzi, posso dire che il mondo dei librogame sia estremamente più facile da affrontare, proprio per la carenza (per ora) di concorrenti. L’errore più grave e di cui mi pento maggiormente è stato non limitare il mio pessimo carattere anni or sono, cosa che mi ha portato in più occasioni a scontri personali del tutto inutili e controproducenti. D’altro canto oggi, pur stando molto più attento, resto un soggetto non facile con cui lavorare, per cui temo sia un problema irrisolvibile.
Il supporto maggiore l’ho avuto dalla community di Librogame’s Land e da Francesco Di Lazzaro, che mi ha dato fiducia con “Jekyll e Hyde” permettendomi di entrare nel mondo dell’editoria commerciale; ma a ben vedere tutte le persone che gravitano intorno al settore mi hanno dato tantissimo, sia come aiuto diretto sia semplicemente detestandomi, perché ogni tipo di feeback è utile se si vuole crescere.
6) Nonostante abbiamo letto tutte le tue opere, rimani per noi un autore molto difficile da inquadrare: hai scritto una trilogia fantasy, due titoli prettamente investigativi, nonché un titolo molto forte emotivamente ed adrenalinico come Cupe Vampe. Cosa deve aspettarsi un lettore comprando un tuo titolo e cosa sicuramente non troverà?
Il fatto di non avere uno stile fisso è allo stesso tempo un pregio e un difetto, ma c’è un filo comune presente in tutti i miei libri ed è la grossa enfasi sulla fruibilità. Per quanto diversa sia l’esperienza di gioco, non sarà mai complicata per il gusto di esserlo, né improntata sulla nostalgia.
Un’altra cosa che non troverete mai nei miei libri sarà una narrazione di tipo didascalico. Non voglio mai insegnare nulla né come “abilità nel gioco” né come “valori morali”; voglio solo raccontare storie e suscitare emozioni. Non mi ritengo migliore di nessuno e non appartengono ad alcun gruppo organizzato dal giorno in cui ho messo piede su questo pianeta. È una cosa che mi rendo sempre più conto essere rara (è anche un difetto, a ben vedere) ma per certi versi può essere definita un mio tratto distintivo.
7) Appena abbiamo sbirciato la tua nuova opera per la prima volta ammettiamo di essere stati perplessi ed ammirati allo stesso tempo, perché francamente non credevamo si potesse osare così tanto nella creazione di una meccanica di un librogame. Perchè non ci spieghi un po’ qual è stata la tua idea e il risultato che sei riuscito a raggiungere?
Sono sempre stato affascinato dai boschi e dalla campagna, forse perché sono nato e cresciuto nel centro di Genova. Per questo motivo sin da bambino mi sono appassionato ai cosiddetti “gestionali agricoli”, in particolare ad “Harvest Moon”. Il suo creatore, Yasuhiro Wada, si basò su un principio molto semplice, ossia il fatto che anche i lavori di fatica potessero essere divertenti implementando un sistema di micro-ricompense. È un qualcosa che oggi con i giochi freemium ci sembra un’ovvietà, ma all’epoca non lo era affatto: ci aveva già pensato Will Wright con “Sim City”, ma Harvest Moon aveva un’accessibilità incredibilmente più alta che lo rendeva davvero adatto a tutti. Il primo capitolo (molto limitato per ragioni di tempo e budget) manteneva tuttavia degli elementi di tensione che ho voluto recuperare in “La Luna del Raccolto“: il numero di giorni fisso e non infinito, una certa strettezza nelle azioni da compiere per ogni giorno, il meteo che crea disastri, il “push your luck” nel decidere se raccogliere subito o attendere un momento migliore e così via… altri elementi presenti nel libro sono la foresta e la città in cui recarsi, più altre piccole sottigliezze che non rivelo per evitare spoiler.
L’altra grande ispirazione è stata la serie “Terre Leggendarie“, su cui ho avuto l’onore di poter lavorare grazie a Edizioni Librarsi. Approfondendo questa serie ho imparato come strutturare un librogame open world con grande libertà e complessità nascosta. In “Luna” troverete quindi le parole-chiave, le tickbox, i mercati, i quadranti in cui scrivere e tanti altri piccoli dettagli presi direttamente dalla serie capolavoro di Morris e Thomson. Allo stesso tempo Terre Leggendarie mi ha suggerito quali errori NON commettere nella creazione di un librogame open world; è noto infatti che molti si lamentino per il fatto che in TL manchi una quest principale. In La Luna del Raccolto è presente, e non solo: pur essendo open world, l’intero libro ha uno stampo narrativo marcato, con una storia che si inserisce a più riprese in momenti prestabiliti per condurre da un inizio a una fine.
8) I nostri lettori sono soprattutto appassionati di giochi da tavolo ed abbiamo notato nei ringraziamenti del libro nomi molto familiari per loro come Rosenberg, Chvatil così come Kramer e Kiesling. In quale aspetto ti hanno ispirato questi autori? Pensi che questa influenza possa rendere questo librogame particolarmente appetibile per un boardgamer?
Confesso che quando ho cominciato a lavorare a “Luna” uno dei miei obiettivi principali era allargare il bacino di utenza dei librogame a quello dei giochi da tavolo. Molte persone oggi quando si parla di gestionali agricoli pensano infatti subito ad “Agricola“, capolavoro di Uwe Rosenberg, più che ad Harvest Moon: ed è anche uno dei motivi per cui ho ritenuto questa strada commercialmente percorribile. In “Luna” non ci sono meccaniche prese direttamente dai titoli bucolici dell’autore tedesco, ma l’ispirazione dagli eurogame c’è stata, ad esempio dalla “Trilogia delle Maschere“. Questi giochi mi hanno reso familiare la meccanica dei punti azione, ossia un certo numero di punti da spendere a ogni turno per svolgere varie azioni, ognuna di costo diverso. È un sistema peraltro assolutamente identico a quello che muove Harvest Moon SNES, in cui, anche se non visibilmente, ogni azione compiuta consuma un certo numero di punti stamina!
Nei videogiochi il consumo di punti si unisce al tempo che passa. In “Luna”, per ovvie ragioni di semplicità, ho unito le due cose, per cui a ogni giorno il giocatore avrà un tot di punti azione da spendere, terminati i quali potrà solo andare a dormire, facendo iniziare il giorno successivo. E i giorni prima della fine saranno contati…
Non sarà l’unica meccanica presa in prestito dal mondo dei boardgame, come hai giustamente notato; ma dopotutto, come dicono spesso i massimi autori italiani, non esiste nulla di realmente nuovo, se non nella testa di chi è troppo inesperto per saper riconoscere determinate influenze. Cambia però come questi input vengono utilizzati e proposti al pubblico.
9) Troviamo molto interessante il fatto che nella tua opera si possano vestire i panni di un personaggio femminile o maschile senza creare alcun problema alla coerenza del testo. Immaginiamo sia stato molto dispendioso questo lavoro. A cosa è dovuta questa scelta? Perché pensi che un librogame debba adottare questo metodo?
I gamebook in lingua inglese si rivolgono dalle origini a chi legge con un impersonale “you”; solo con Lupo Solitario si è stabilizzata la norma di avere un protagonista dal genere definito. Nel momento in cui si chiede a chi sta leggendo di immedesimarsi con il personaggio, è evidente che l’uso di un genere sbagliato vada a rompere quell’illusione.
Si dice spesso, a mio avviso errando, che l’italiano sia “limitato” rispetto all’inglese sotto questo profilo, ma attenzione: pensare che i problemi del genere di un personaggio si risolvano usando espressioni neutre è un errore gravissimo. Ci sono tantissimi librogame inglesi in cui non vi è il minimo riferimento al genere del protagonista, che tuttavia è evidentemente maschio, magari perché è un guerriero in un mondo in cui tutti i guerrieri incontrati sono maschi, per usare l’esempio più banale.
In “Luna” ho quindi cercato di dare importanza sia ai fatti che alle parole: mi sono sforzato di fare in modo che la storia avesse senso sia per Arianna che per Ariele Bergamotti, i due protagonisti, senza mai rompere quell’illusione. In aggiunta a questo ho sfruttato le tecniche dell’italiano inclusivo, ossia quella forma che evita appunto riferimenti diretti al genere del lettore usando perifrasi e le espressioni neutre che la nostra lingua possiede.
So che oggi l’aggettivo stesso “inclusivo” è diventato oggetto di scontro in una guerra ideologica pro e contro di esso, una battaglia in cui vorrei evitare di schierarmi, essendo io come dicevo allergico a ogni forma di etichetta e gruppo organizzato. La mia speranza è che “Luna”, insieme alle opere di Mauro Longo e Andrea Tupac Mollica scritte allo stesso modo, possa aiutare tutti a comprendere gli effettivi vantaggi della scrittura inclusiva, se usata con criterio. Non una battaglia ideologica, quindi, ma una prospettiva di reale utilità – che tra l’altro spesso è il modo migliore e più funzionale per rendere un’idea comune.
È stato davvero interessante quello che ci hai raccontato e se vuoi far terminare questa intervista devi rivelarci qualche piccola anticipazione in esclusiva di un tuo lavoro futuro, altrimenti sei costretto a ricominciare dalla domanda numero 1!
Allora mi costringi a ripartire dall’1, perché ho la bocca cucita! Scherzi a parte, per questo genere di rivelazioni devi mettere sotto torchio gli editori. Ho detto che sto cercando di migliorare il mio caratteraccio e farmi ben volere, non vorrai mica che si arrabbino per qualche reveal di troppo?! (e con questo avrai già capito che ci sono varie cose che bollono in pentola, accidenti…)
Puoi ordinare i tuoi giochi su GET YOUR FUN |
Ti interessa qualche altro gioco? Forse lo abbiamo già recensito…
- Hellwinter: La Porta della Luna librogame - 19 Luglio 2024
- Legendary Kingdoms 2 librogame - 5 Luglio 2024
- Somora librogame - 10 Maggio 2024