Pro: Divertente, altamente interattivo, ben equilibrato: tutto questo in un gioco fatto con più o meno lo stesso numero di carte di un mazzo da “Scala 40”.
Contro: Tema e meccanica un poco sofisticata lo allontanano un poco dal grande pubblico. Peccato perchè il clima che sa creare lo renderebbero appetibile anche ai giocatori occasionali
Consigliato a: Gruppi numerosi di giocatori o dotati di pazienti missionari per fare superare il piccolo scalino iniziale ai nerd. Astenersi ponzatori cronici e permalosi.
Realizzazione | |
Giocabilità | |
Divertimento | |
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Prezzo |
“C’era una volta il West”: non stiamo parlando del famoso film di Sergio Leone, ma di Samurai Sword, un gioco tutto italiano, edito da DV Giochi.
La commistione tra gli spaghetti western e il periodo dello shogunato è molto semplice e diretta: qualche anno fa venne prodotto “Bang!”, che si impose rapidamente come il gioco di carte sul Far West più venduto nel mondo, grazie alla sua semplicità, all’ambientazione simpatica e a un’elevata dose d’interazione.
Oggi Bang! può essere considerato un vero e proprio punto di riferimento per i gruppi piuttosto numerosi, anche se – fra i tanti apprezzamenti ricevuti – il gioco si è contraddistinto anche per qualche critica.
Se la dea bendata fa i capricci, può infatti capitare che qualcuno tra i partecipanti possa essere eliminato molto prematuramente, in alcuni rari casi perfino al primo turno di gioco, mentre la partita può protrarsi tranquillamente per una mezz’ora abbondante.
Come spesso accade per i prodotti di successo, il meccanismo si è evoluto e affinato. Oltre a una versione alleggerita, basata sui dadi (che abbiamo qui recensito), lo stesso motore è stato riproposto adattandolo al Giappone feudale ed eliminando quelle fastidiose “dipartite precoci”.
Unboxing
Ecco dunque chiuso il cerchio: Samurai Sword è una versione evoluta di Bang!. Dentro la scatola troviamo un mazzo di carte di buona qualità (che, visti i frequenti rimescolamenti, andrebbe comunque imbustato) e dalla consistenza più o meno identica (poco più di 100 carte) a quella di un mazzo da Ramino.
Sono anche presenti due piccoli gruppi di pedine (in Bang! era uno solo): quelle a forma di cuore – intuitivamente – servono per gestire i punti ferita, mentre quelle a forma di fiore di ciliegio servono per tener traccia del cosiddetto onore (cioè i punti vittoria) di ciascun giocatore.

Carte armi: giù botte! peccato che alcune delle armi non sono familiari a chi non conosce il periodo storico.
Chiude la dotazione il manuale proposto, così come le carte, in lingua italiana e inglese.
Il giocatore esperto può rimanere piacevolmente sorpreso dal contenuto piuttosto articolato del mazzo.
Due piccoli set di carte gestiscono rispettivamente il ruolo e l’identità dei giocatori. All’inizio della partita ciascun partecipante ne riceve una per tipo: il ruolo determinerà a quale squadra appartiene, mentre l’identità lo caratterizzerà con un’abilità speciale diversa dagli altri. Per chi conosce Bang!, qui non c’è nessuna differenza.
Il mazzo delle carte di gioco è composto da tre tipi di carte:
Le armi: ecco a disposizione tutto l’arsenale del buon Samurai e del terribile Ninja. Le armi possiedono due valori: danno provocato e distanza a cui possono colpire. La distanza è calcolata materialmente contando il numero di giocatori che si interpongono tra il possessore della carta e il bersaglio della stessa.
Le azioni: permettono di interagire con gli altri giocatori, compiendo azioni diverse dal combattimento, ma non per questo rappresentano minacce meno pericolose. La carta “Geisha”, ad esempio, costringe un nostro avversario a scartare una propria carta.
Le proprietà: rappresentano gli oggetti e le abilità che il giocatore ha conseguito e che gli conferiscono determinati bonus.
Il gioco
La gestione dei personaggi impersonati da tutti i giocatori è l’elemento caratteristico di questo card game.
Secondo canoni classici, le carta identità introducono abilità speciali che, alla fine, risultano in qualche facilitazione nella pesca delle carte o un bonus in attacco o in difesa. Ogni carta riporta, oltre al nome puramente flavour, anche l’immagine del nostro personaggio: queste informazioni sono di pubblico dominio.
I ruoli, invece, dividono i giocatori in tre squadre: “buoni”, ”cattivi” e “terzo incomodo”. All’inizio del gioco, però, soltanto lo Shogun (il capo dei buoni, che ha rimpiazzato il “vecchio” Sceriffo) viene rivelato pubblicamente, mentre i suoi alleati (i Samurai, un tempo Vice) e i suoi nemici (i Ninja, un tempo Fuorilegge) nonché il solitario Ronin (ovvero il Rinnegato) non rivelano mai la loro identità.
Si innesca, così, una dinamica semplice, ma al tempo stesso molto solida: i Ninja tendono a colpire lo Shogun, i Samurai attaccano coloro che colpiscono lo Shogun e il Ronin potrà far finta di appartenere a una delle due fazioni, cercando di rimanere defilato.
Fatta la tara degli immancabili bluff, dopo qualche mano “per sondare il terreno”, le squadre risultano delineate con ragionevole certezza. Ecco dunque il grande merito del “Bang! System”: introdurre le “squadre nascoste” in modo molto semplice e intuitivo.
In realtà, si tratta di un elemento complesso, che siamo abituati a vedere in giochi di maggiore spessore (Battlestar Galactica e Richard I, per fare un esempio tra quelli recensiti) e introdurlo in un sistema di gioco di questo tipo crea qualche piccolo riverbero.
La scalabilità indubbiamente ne soffre: il gioco si propone per gruppi da tre a sette giocatori, ma funziona bene solo con gruppi piuttosto numerosi. A nostro avviso, dà il meglio di sé da 5 a 7 partecipanti. Inoltre, il meccanismo di determinazione del vincitore risulta poco intuitivo (vedi maggiori dettagli in seguito), ma questo è l’inevitabile scotto da pagare per aggirare il sistema di eliminazioni dirette di Bang!
Per quanto un giocatore con un minimo di esperienza abbia ben tutto chiaro fin da subito, i neofiti inizialmente possono trovarsi a disagio rispetto a una meccanica un po’ sofisticata e, al contempo, sentirsi inibiti dalla necessità di giocare in incognito, senza quindi la possibilità di fare domande durante l’ “Action Learning”.
Il “sistema Bang!” è potenzialmente adatto a un pubblico vastissimo per età, sesso ed esperienza e tutto questo può rappresentare una piccola – anzi, piccolissima – barriera all’entrata. Per questo motivo, vi consigliamo per la prima partita di simulare almeno un paio di giri a carte scoperte, effettuando alla fine un veloce calcolo dei punteggi maturati.
Superati questi piccoli scogli iniziali, il gioco risulta molto semplice e davvero godibile in ogni occasione: vi farà compagnia in attesa della pizza, come “piatto forte” di una serata di baldoria e anche come filler per svagare un gruppo di boardgamer incalliti.
Dopo l’attribuzione dei personaggi, il setup prosegue fornendo a ogni giocatore la mano di carte iniziale. La particolarità consiste nel fatto che, in base al turno di gioco, varia il numero di carte ricevute. Lo shogun è sempre il primo a giocare e prende quattro carte, mentre il sesto o il settimo giocatore ne pescheranno ben sette.

non si possono avere in mano mai più di sette carte: Nel caso specifico il giocatore è molto debole perché avendo quasi solo armi potrà essere oggetto di bersaglio senza opporre resistenza
Questo meccanismo di compensazione è il primo chiaro segnale che il gioco utilizza una meccanica, tipica dei card game, ad altissima interazione diretta, dove chi è di turno “mena” senza ritegno e i bersagli cercano di parare i colpi, fino ad esaurimento carte.
Ogni giocatore riceve, poi, un numero di punti ferita pari a quanto indicato dalla propria carta personaggio e quattro punti onore. Fa eccezione lo Shogun (con 5 punti onore) perché, perlomeno durante i primi turni, viene colpito con maggiore frequenza, visto che si tratta dell’unica identità nota.
Eccoci pronti per cominciare. Il turno di ciascun giocatore inizia pescando 2 carte dal mazzo, dopodiché può giocare un qualsiasi numero di carte, con la sola limitazione di poter utilizzare – salvo abilità speciali – una sola carta attacco per turno.
Le azioni hanno funzioni molto varie, che vanno dal colpire indistintamente tutti gli avversari, a pescare o a far scartare carte.
Le carte proprietà sono le uniche che, quando giocate, non devono essere indirizzate contro un bersaglio, ma rimangono posizionate davanti al giocatore. Generalmente rappresentano dei potenziamenti: “Concentrazione” serve ad esempio per giocare un’altra arma durante il proprio turno, mentre “Armatura” rende più difficile l’attacco nei nostri confronti, e così via.
Il combattimento si svolge scartando l’arma utilizzata e indicando il bersaglio che deve trovarsi all’interno del suo raggio d’azione: per esempio, un’ascia colpisce solo il giocatore al nostro fianco, mentre un archibugio può essere puntato praticamente contro qualsiasi giocatore al tavolo. A questo punto, il bersaglio può giocare una carta parata (avete detto “Mancato!”?), vanificando l’aggressione, oppure scartare il numero di punti ferita indicato sull’arma stessa.
Quando un personaggio non ha più “cuoricini”, deve consegnare al giocatore che lo ha sconfitto un punto onore e rimane escluso dal gioco solo fino al momento in cui non diventa il giocatore di turno. In questo caso, egli recupererà tutti i suoi punti ferita e rientrerà nella lotta. Il tempo d’attesa non è più, quindi, dell’ordine dell’intera partita, ma solo di un paio di minuti e tutti possono divertirsi per tutta la serata.
Sono, inoltre, considerati inattivi anche quei giocatori che, in un qualsiasi momento, rimangono senza carte in mano: sembrerebbe una specie di atto d’onore, che non consente di attaccare i personaggi incapaci di difendersi.
In realtà, Samurai Sword nasconde un gameplay aggressivo e malizioso: fra giocatori esperti, può capitare di voler far scartare una carta a un compagno di squadra per renderlo immune da successivi attacchi o, specularmente, costringere un avversario a pescare una carta solo per renderlo attivo e poi attaccarlo, per togliergli magari l’ultimo punto ferita e guadagnare un punto onore.
La partita termina quando un giocatore esaurisce i propri punti onore. A questo punto, tutti i giocatori riveleranno la propria identità e moltiplicheranno i punti onore posseduti in base al coefficiente assegnato al proprio personaggio.
Il Ronin, ad esempio, triplica i propri punti onore: per vincere, gli basta quindi non essere bersagliato troppo dagli altri giocatori.
Ninja, Samurai e Shogun hanno moltiplicatori variabili da uno a due, in base al numero di partecipanti: il meccanismo può sembrare un po’ bizantino, ma garantisce equilibrio e rigiocabilità.
Bottom line
Il gioco fila davvero alla grande: come da copione, in titoli di questo tipo (vedi Ciak e Pizza spaghetti mandolino) volano botte da orbi, ma con il valore aggiunto della gestione nascosta delle squadre.
L’introduzione dei punti onore rappresenta la vera novità, nonché la principale evoluzione, rispetto al predecessore Bang!: ora nessuno è mai escluso dal gioco. Esiste, però, sempre un lato “B”: i “punti onore” fanno rimpiangere l’immediatezza di Bang! (ti sparo, ti ammazzo e ti elimino dal gioco), soprattutto per quanto riguarda le condizioni di vittoria.
Laddove tutti avevano ben chiaro il proprio compito (i Vice difendevano lo Sceriffo a costo della loro stessa vita, lo Sceriffo doveva eliminare tutti i malvagi, i Fuorilegge i buoni e il Rinnegato doveva sconfiggere lo Sceriffo in duello), qui invece subentra un più elaborato e, soprattutto, astratto sistema di calcolo.
In questo modo, vengono meno anche alcune meccaniche che rinforzavano la percezione del tema western: non c’è più alcun malus che rappresenti il trauma di un buono che scopre di aver ucciso un altro buono e non c’è alcun premio – la taglia – per chi uccide un Fuorilegge.
Al contrario, aggiunge divertimento – e anche qualche fendente in più – la scelta di portare a 7 il numero limite delle carte in mano a fine turno: in Bang!, infatti, poteva essere al massimo pari a quello dei punti ferita e i più malconci erano fortemente penalizzati; qui, invece, ogni turno è una storia a sé e le possibilità di attacco – e, perché no, di difesa – si moltiplicano.

Dopo un po di meditazione e grazie all’abilità con la spada questo personaggio diventa davvero temibile. ‘ambientazione è credibile.
Vogliamo fornire, inoltre, un’indicazione di gioco a chi impersona il Ronin e conosce il vecchio Bang!: questo ruolo ha preso il posto del Rinnegato, ma va giocato in modo alquanto differente (almeno se volete vincere). Quest’ultimo, infatti, si schierava di solito con i Vice all’inizio, indebolendo dall’interno la fazione dei buoni, per poi tradirli sul più bello e giocare al massacro fino alla fine. Il Ronin, invece, ha un notevole vantaggio in termini di punti, quindi gli conviene tenere un profilo basso e schierarsi con decisione con una qualsiasi delle due squadre.
Infine, dobbiamo ammettere che risulta più divertente calare la carta “Gatling” di Bang! piuttosto che la “Cerimonia del tè” di Samurai Sword (Per i possessori di Bang!: per fortuna, invece, è scomparsa la “Dinamite”!): il Far West è un’ambientazione che, come avevamo già disquisito recensendo Colt Express, si sposa meglio al clima scanzonato e “caciarone” che questo sistema di gioco sa creare. E risulta anche più coerente con il gameplay: pistole e fucili ci sembrano più adatte a una meccanica che prevede il conteggio della distanza del giocatore da colpire.
Ad ogni modo, non mancheranno neppure gli appassionati di Ninja e Samurai che troveranno questa ambientazione intrigante e funzionale, ma in fondo poco importa: nel caso in cui abbiate l’abitudine di passare le serate in compagnia di amici, divertendovi a picchiarli (virtualmente parlando, s’intende…) come pazzi, allora che siano katane o Colt, sceriffi o Shogun non farà alcuna differenza; l’importante è che un gioco della serie BANG! Game system sia sempre presente nel vostro scaffale!
Si ringrazia DV Giochi per aver reso disponibile la copia di valutazione del gioco.
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